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L'incognita Renzi sulle manovre del Pd attorno a Schlein

L'assemblea congiunta dei gruppi dem si è chiusa senza strappi, che in questo momento non vuole nessuno. Ma prima delle europee servirà un chiarimento su due punti: la candidatura della segretaria e le alleanze per Firenze

Com’era ampiamente scontato, l’assemblea congiunta dei gruppi dem di Camera e Senato è filata liscia come l’olio. Da una parte infatti Elly Schlein non voleva fornire appigli ai suoi avversari interni e per questa ragione ha accettato di modificare la bozza che aveva preparato il suo responsabile Esteri Beppe Provenzano. Dall’altra, Base riformista non intendeva “strappare” con la segretaria in questo frangente. Per due motivi fondamentali. Primo, il tema in questione è assai delicato perché l’elettorato dem è molto sensibile alla tematica mediorientale e pende, per la maggior parte, dalla parte della causa palestinese. Una rottura sulla mozione non sarebbe quindi ben vista dal popolo dem. Secondo, non è questo il momento di arrivare al redde rationem con Elly Schlein. L’intenzione è di aspettare il voto delle europee e delle amministrative. Sarà giugno il mese in cui si faranno i conti, “tanto più – nota un dirigente dell’area Bonaccini – se il risultato delle urne confermerà i sondaggi che certo non danno il Partito democratico in ripresa, come era stato ventilato dopo l’elezione di Schlein a segretaria”. Nel Pd c’è però chi ritiene (mezza area Bonaccini, ma anche una parte di quelli che hanno sostenuto la leader alle primarie) che un chiarimento, benché non cruento, debba essere fatto prima del voto di giugno, onde evitare che un risultato non buono finisca per colpire tutto il partito e non solo la leader.
 
Un chiarimento per arrivare dove? Innanzitutto per convincere Schlein a non candidarsi alle elezioni europee e poi per spingerla a cercare un armistizio con Matteo Renzi almeno su Firenze. Ma dovrebbe essere Schlein in prima persona a cercare la mediazione con il leader di Italia viva, archiviando almeno per tutta la fase elettorale gli antichi dissapori. L’ex premier, infatti, finora non è apparso molto disposto a cedere su nulla con gli ambasciatori dem che da giorni cercano di convincerlo ad arrivare a un compromesso perché perdere una città come Firenze, regalandola alla destra, non gioverebbe nemmeno a lui che nel capoluogo toscano ha il suo zoccolo duro e il suo potere. 

Nel frattempo, la mozione Bonaccini, che, pur negando di essere una corrente, si è strutturata come tale, è in affanno. Troppe le diversità di vedute in quell’area e troppa la differenza tra gli emiliani, portati al compromesso con la segretaria, e gli altri, che vorrebbero che Bonaccini sfoggiasse maggior grinta. Il rischio, a questo punto, è questo: che Bonaccini, andando a Bruxelles, perda la leadership dell’area da cui già alcuni si sono, di fatto, allontanati (gli ex lettiani, Dario Nardella, Matteo Orfini). E in effetti chi ha avuto modo di parlare in questi giorni con il governatore sa che non è affatto entusiasta di candidarsi alle elezioni europee anche se, in assenza di una legge sul terzo mandato, non ha altre strade da prendere.
 
Per un Bonaccini che non scalpita per andare a Bruxelles, c’è una Elly Schlein che invece è sempre più tentata dalla corsa per le elezioni europee, nonostante un recente sondaggio riveli che la sua presenza nelle liste toglierebbe voti al Pd anziché procurargliene di nuovi. Solo che non risponde al vero la voce, propagata anche da alcuni esponenti dem vicini alla segretaria, secondo cui la leader avrebbe intenzione, una volta eletta in Europa, di dire addio al Parlamento di Roma. Schlein sa bene che se lasciasse la piazza italiana in poco tempo i suoi avversari si rafforzerebbero mentre lei, al contrario, si indebolirebbe.

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