(foto Ansa)

Il reportage

Inseguendo Vannacci in giro per la campagna veronese: bagno di folla tra i putinisti all'Amarone

Jacopo Strapparava

Alla presentazione del libro del generale poco fuori Verona un popolo variegato, fatto di casalinghe, elettricisti e militari. E lui, ora che la Lega lo vorrebbe candidare, glissa su tutti gli argomenti scottanti: "Ucraina? Gaza? Autonomia? Non rispondo"

Tregnago (Verona). Alle 19 e 30 – quando i primi giornalisti entrano nell’auditorium dell’ex cementificio – il generale è già lì che stringe le mani. Alle 19 e 45, i posti migliori sono occupati. Per le 20 e 20 la gente è così tanta che molti si devono sistemare in piedi o sedersi per terra. Tempo le 20 e 30 e il consigliere Valdegamberi può annunciare soddisfatto: "Seicento persone! Molti sono dovuti restare fuori!". La storia la conoscete. Vannacci avrebbe dovuto presentare il suo “Mondo al contrario” all’Hotel San Marco, in borgo Milano, a Verona. Sennonché una pletora di associazioni delle due estreme sinistre, quella rossa e quella arcobaleno, aveva indetto una manifestazione fuori dall’albergo. Minacce al telefono. Insulti sui social. Questura mobilitata. Il titolare non se l’è sentita.

E così eccoci qua. In campagna, a mezz’ora di auto dalla città. Tregnago è un paese adagiato tra i vigneti e i capannoni, avrà sì e no 5 mila abitanti. In lontananza si vedono le cime innevate dei monti Lessini. Qui, alle ultime elezioni, il centrodestra ha sfiorato il 68 per cento. La sera fa così freddo che neanche il più estremo degli estremisti si sognerebbe di indire una manifestazione. I giornalisti sono tantissimi perché la serata è particolarmente ghiotta. Vannacci, in terra scaligera, è stato invitato da Stefano Valdegamberi, consigliere regionale, e da Vito Comencini. Il primo, ex Udc, ex Lega, ex Lista Zaia, vero feudatario di questi luoghi. Il secondo, ex leghista, tradizionalista cattolico. Entrambi, tra le altre bizzarrie, esponenti di un certo putinismo in salsa veronese, un putinismo all’Amarone.

Ma basta scambiare quattro chiacchiere con la folla che sta entrando in sala per capire che dentro c’è un po’ di tutto. Medici in pensione. Agricoltori ventenni. Vecchiette che non farebbero male a una mosca e due tizi nerboruti vestiti da skinhead. Un sacerdote ortodosso, capelli grigi e lunga tonaca nera, saluta il generale, quello gli risponde in rumeno fluente. Due paracadutisti con il berretto rosso rendono omaggio al loro commilitone. Una signora bionda mormora tra sé e sé: "Me lo aspettavo più alto…". Quelli della troupe di Mediaset in un nanosecondo le sono addosso con microfono e telecamera: "Davvero, signora?".

E poi il libro, ovviamente. Nell’edizione curata dall’editore Il Centro, copertina bianca, esaurita ancor prima che la presentazione abbia inizio. Già, il libro. Numeri clamorosi. Oltre 230 mila copie vendute. Circa 800 mila copie pdf piratate. Contratti già firmati con quattro editori stranieri. Si stima che il generale si sia visto accreditare un milione di euro di diritti d’autore. Tesi di fondo chiara e semplice. Quella che la moltitudine intende come normalità è sovvertita e messa al bando da "esigue e sparute minoranze" che prevaricano il sentire comune. Vannacci scrive che, tra gli organi che plasmano l’opinione pubblica – giornali, tivù, università, tribunali, etc. - queste minoranze sono sovra-rappresentate. Che le minoranze ex discriminate ora godono di privilegi, mentre la maggioranza silenziosa è svantaggiata e marginalizzata.

I critici più benevoli bollano tutto questo come un’accozzaglia di banalità. Quelli più severi, come omofobo e razzista. I più colti fanno notare che cose simili le avevano già scritte Pascal Bruckner (“Un colpevole quasi perfetto. Il capro espiatorio bianco”), Alain de Benoist (“La nuova censura”) per tacere del celeberrimo Robert Hughes (“La cultura del piagnisteo”). Comunque la si pensi, una cosa è certa: Vannacci, con il suo libro, ha toccato un nervo scoperto della nostra società. Qui lo pensano tutti. Qui tutti pensano che Vannacci dica quello che loro, prima di lui, si vergognavano di dire.

Prendete la signora Emma, 66 anni, casalinga, per esempio: "Ho comprato il libro su internet appena è uscito. Più in televisione tutti ne parlavano male, più mi sentivo d’accordo con lui". O Massimo, 55 anni, elettricista: "Vannacci dice cose scontate, banali. Assurdo è che ne sia nato un caso politico". Oppure Tiberio, 36 anni, metalmeccanico: "Oggi sembra che 'libertà' voglia dire togliere la libertà agli altri". Ma più che i fan, è lui che bisogna sentire. Siamo saliti fin quassù apposta.

Vannacci inizia la presentazione alle 20 e 45 e parla per un paio d’ore. Noi, si prende appunti. Prima osservazione: Vannacci non eccelle nell’arte della retorica. Non è un arruffapopolo. Non è un politico abituato ai comizi, e si vede. Salvo qualche guizzo di originalità, se deve affrontare argomenti tecnici non riesce a evitare di inserire nel discorso dati, statistiche, definizioni. E, quando succede, anche Valdegamberi e Comencini, i due putiniani all’Amarone che gli siedono accanto, si perdono nel cellulare.

Seconda osservazione: Vannacci però è simpatico. Probabilmente ci fa, non ci è, quando dà mostra di non avvedersi che in "anormali", come lui apostrofa gli omosessuali, c’è una connotazione dispregiativa. Ma tra i suoi suscita la simpatia innata di chi dice che il re è nudo. Di chi, al potere, fa le boccacce. Terza osservazione: Vannacci non è un fesso. Non è un mona, come direbbero da queste parti. Del resto, basta guardare il suo curriculum. Sette lingue. Tre lauree. Due Master. In missione contro i terroristi in Somalia a 24 anni. Iraq. Afghanistan. Ex comandante della Folgore. Ex comandante del Col Moschin. Decorato quindici volte. Neutralizza benissimo i trucchetti dei giornalisti. E quando gli amici putiniani lasciano da parte il politicamente corretto per fargli domande vere – l’autonomia per il Veneto?, l’Ucraina?, Gaza? – evita di rispondere. Oppure, semplicemente, dice: "Non voglio dire nulla che possa essere strumentalizzato politicamente".

A proposito, la politica? "Devo studiare" dice. "Si tratterebbe di passare da un mondo in cui sono un professionista a uno in cui sono un dilettante". Forse si rende conto che rischia di fare la stessa fine di Gregorio De Falco, eroe del popolo finché sgridava Schettino, poi eletto con i 5 Stelle e smarritosi nella palude del Palazzo. E per carità, ci si potrà sbagliare. Ma l’impressione è che anche le voci di questi giorni, secondo cui Vannacci sarebbe pronto a candidarsi alle europee con la Lega, siano più funzionali al declinante Capitano che all’arrembante generale.

P.s.: Alla fine, l’intervista della signora bionda a Mediaset è degenerata. "Io sono d’accordo con lui perché sono fascista". "Come fascista?!". "Eh sì, tutta la mia famiglia lo è sempre stata".

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