(foto Ansa)

Il caso

I droni del Pd. I riformisti dem dissentono da Schlein sulla politica estera. Ma subito si ritraggono

Luca Roberto

Guerini guida la fronda sulla politica estera, ma non rivendica il "dissenso" sull'Ucraina. E nel partito sono in tanti a preferire il passo di lato dopo il voto di mercoledì. Le eccezioni Quartapelle, Rojc e Parrini

Attaccano dall’alto, in lontananza. E poi battono in ritirata, quasi fossero dei droni in un teatro di guerra. Sono, forse, la principale garanzia sulla vita di Elly Schlein al Nazareno. Stiamo parlando dei riformisti del Pd, o meglio, della minoranza dei riformisti del Pd. Quelli che mercoledì hanno scelto di votare la risoluzione della maggioranza sull’invio delle armi a Kyiv. E ieri, alle nostre richieste di spiegare, approfondire, dare sostanza a quel posizionamento, hanno perlopiù gentilmente declinato. La deputata Lia Quartapelle, capogruppo in commissione Esteri, non aveva bisogno di pronunciarsi di nuovo. L’aveva già detto in maniera piuttosto esplicita: “Sull’Ucraina il partito non ha una posizione e Schlein non ci mette il cuore”. Ma per quanto riguarda gli altri otto “dissidenti”, solo in due hanno voluto rivendicare esplicitamente la scelta dell’altro giorno. Secondo la senatrice Tatjana Rojc “non è tanto un problema di continuità, quanto di coerenza”, analizza col Foglio. “Io sono triestina e per noi la questione balcanica è strettamente legata a quella ucraina. Il presidente serbo ha già iniziato a spalancare le porte a Putin. E anche il premier ungherese Orbán è pericolosamente vicino a noi”. Per questo ha voluto dare un segnale votando il testo della maggioranza. “Anche se la nostra risoluzione, preparata dal senatore Alfieri, era molto distante da uno schiacciamento sulle posizioni dei Cinque stelle. E insisteva su una soluzione diplomatica legittima, a cui il governo non sta lavorando affatto”.

 

Pure Pierferdinando Casini ha fatto l’eretico, “ma ho poco da dire sulle dinamiche interne al Pd. Sono indipendente nel gruppo e voto secondo coscienza”, spiega al nostro giornale. Restando a Palazzo Madama, abbiamo cercato tutti gli altri. Dario Parrini dice al Foglio di aver “votato in quel modo semplicemente per un fatto di coscienza e coerenza, che ritengo sia un elemento fondamentale nelle grandi questioni di politica estera. Nessun intento polemico, nessuna fronda”. Ma sia il senatore Filippo Sensi che le colleghe Valeria Valente e Simona Malpezzi hanno preferito evitare di dire alcunché. Spostandoci a Montecitorio, non ci andrà molto meglio. La deputata Marianna Madia ci fa sapere che “ho poco da aggiungere” sulla vicenda. Nessuna risposta invece dal big e fondatore di Base riformista Lorenzo Guerini, che poi sarebbe il vero dominus da cui emana la posizione di questa specie di partito parallelo. Che fuoriuscito dal Pd, secondo il deputato di Italia viva Luigi Marattin, varrebbe almeno “il 10 per cento”.

 

Fatto sta che sempre ieri, solleticata dalle domande dei giornalisti, oltre a dover commentare la mancata candidatura alle europee di Gentiloni (“continuerà a dare un contributo alla politica italiana ed europea”) Elly Schlein non ha potuto proprio fare finta di niente. Quando le hanno chiesto del voto sull’Ucraina del giorno prima ha trovato un escamotage niente male: accusare il governo di non aver votato la sua, di risoluzione. Spiegando anche che “ci siamo astenuti perché non vogliamo dare più deleghe in bianco a un governo che non sta facendo nulla, non ha alcuna iniziativa se non quella della telefonata dei due comici….”. Parole che evidentemente sono bastate a chi aveva promesso la rivoluzione per fare un passo di lato, rincantucciarsi aspettando la prossima spaccatura potenziale. Anche perché la segretaria, a quanto risulta a questo giornale, non avrebbe tentato di mediare, interloquire direttamente con i parlamentari che hanno votato in maniera diversa da quanto si era deciso. Non li ha cercati personalmente né ha tentato di tranquillizzarli in alcun modo.

Così come era molto lontana dal rappresentare una soluzione la nota che sempre ieri il Pd ha diramato, per bocca della responsabile Giustizia Debora Serracchiani, sull’altro fronte caldo di scontro all’interno del partito. Una lunga dichiarazione in cui si dice che “l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio è una risposta sbagliata ad una domanda giusta”. Rimandando la questione a ben più complicate norme tecniche da inserire in una riforma del Testo unico degli enti locali. Non esattamente quello che s’aspettavano Sala, Manfredi, Nardella, Ricci  e il resto dei sindaci democratici

Sempre Quartapelle, intervistata dalla Stampa, ben sintetizzando l’umore di chi aveva votato accodandosi alla maggioranza s’era spinta a sostenere che “va chiesto a chi si è astenuto perché ha cambiato posizione visto che l’anno scorso avevamo votato a favore del governo”. Ma forse andrebbe chiesto pure a chi non si è astenuto perché si astiene ora dal rivendicarlo.

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