L'intervista

“Alla fine Schlein sarà costretta a candidarsi”. Parla Luigi Zanda

Gianluca De Rosa

Meloni ha sfidato la leader dem.  L'ex senatore del Pd spiega la meccanica politica che porterà alla candidatura della segretaria in tutti e cinque i collegi per le Europee 

 “Non mi permetto di darle consigli ma penso che Elly Schlein alla fine sarà obbligata a candidarsi, un po’ perché l’ha sfidata la Meloni e non raccogliere la sfida potrebbe essere interpretato come un segnale di debolezza,  un po’ perché questa scelta aiuterebbe anche lei”. Luigi Zanda, cinque legislature in Parlamento prima della scelta di non ricandidarsi nel 2022, guarda dalla distanza, ma con una certa curiosità a cosa combina il suo Pd. E’ convinto che alla fine la segretaria Elly Schlein accetterà la sfida, non solo quella televisiva, che le ha lanciato due giorni fa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. “Penso anche che una mia eventuale candidatura potrebbe forse portare anche altri leader a fare la stessa scelta, potrebbe diventare un test molto interessante”, ha detto la premier. “Tirarsi indietro a questo punto svantaggerebbe sia Schlein, sia il partito”, sostiene Zanda. Ma non c’è solo questo. La segretaria ha almeno un altro ottimo motivo per scegliere di utilizzare il suo nome e provare a rafforzare il partito. “La sua candidatura come capolista in tutti e cinque i collegi – ragiona l’ex senatore del Pd – risolverebbe un problema interno: la sua è l’unica candidatura che metterebbe a tacere le aspirazioni degli altri”.

 

E, in effetti, da giorni la segretaria viene tirata di qua e di là dai tanti aspiranti candidati. Ci sono gli europarlamentari uscenti e c’è il manipolo dei sindaci – Dario Nardella, Antonio Decaro, Matteo Ricci e Giorgio Gori –, un quartetto perfetto per avere almeno quattro dei cinque capolista. C’è poi soprattutto quel pezzo di partito che ha sostenuto la segretaria al congresso e che, per paradosso, è il più spaventato dalla sua eventuale candidatura. I sindaci, come la maggior parte degli europarlamentari uscenti, al congresso del partito dello scorso anno hanno sostenuto Stefano Bonaccini. Fanno capo insomma alla parte più riformista del partito. Vanno lette anche così le parole di due giorni fa di Andrea Orlando sull’eventuale candidatura della Schlein: “Penso che prima si debba discutere di come andiamo alle europee”. Un modo per avvertire la segretaria che la sua candidatura rischia di mandare in Europa una pattuglia di europarlamentari tutta di minoranza. L’ex ministro non lo ha detto così, ma il senso sarebbe pressoché questo: non avrebbe più senso scegliere per le europee cinque nomi della sinistra del partito che garantirebbero anche a Strasburgo un’attività parlamentare coerente con la linea della segreteria? C’è insomma chi sulla candidatura di Schlein è piuttosto scettico. Ma Zanda è convinto che le meccaniche della politica portino comunque inesorabilmente lì: “Non so se questa formula funzioni da tutte le prospettive da cui la possiamo esaminare, ciononostante penso che le cose si stanno mettendo in un modo tale che lei possa essere obbligata a candidarsi”. 


La principale critica che viene mossa all’eventuale candidatura della segretaria è questa: non è nella tradizione del Pd, “una cosa così non l’ha fatta neppure Renzi”. “A essere sinceri – sorride Zanda – neanche Schlein è nella tradizione del Pd. Ha vinto un congresso appena iscritta, figuriamoci se non può scegliere, ora che è a capo del partito, chi candidare in cima alle liste dei cinque collegi elettorali”. E però la segretaria sembra continuare a tentennare. Zanda non si preoccupa più di tanto: c’è tempo. “Immagino – dice – che lei stia seguendo comunque uno schema simile a quello della Meloni: anche la premier non ha sciolto del tutto il  nodo, ha detto che ci sta pensando, ed è giusto prendersi anche un po’ di tempo per riflettere prima di prendere una decisione così importante”.


I ben informati parlano del 2 marzo, giorno in cui si terrà il congresso dei Socialisti europei a Roma come data più quotata per l’annuncio. D’altronde sia nel 2014 sia nel 2019 (quando peraltro si votava a maggio) il Pd non ha mai chiuso le liste prima di fine marzo, inizio aprile.
 

Di più su questi argomenti: