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Prodi lo sfederatore. In pubblico loda Schlein, in segreto dice che "sta snaturando il Pd"

Carmelo Caruso

La verità, oltre la frase del professore, "Schlein può fare la federatrice", è un'altra. L'ex premier teme il partito della segretaria, la personalizzazione, il modello che è sempre quello Renzi

Ci sono almeno due Romano Prodi, il federatore e lo sfederatore. Quello vero non è mai il primo. Il Prodi I, all’evento del Pd, ha dichiarato che Elly Schlein può “federare” la sinistra. Il secondo Prodi, sottovoce, dice invece che la segretaria, candidandosi alle Europee, rischia di “snaturare il Pd”, di accelerare “il semipresidenzialismo della Meloni” di “polarizzare tutto sulla sua persona come la premier”. Se Schlein crede di aver trovato in Prodi un grande amico o non conosce Prodi o ha pochi amici. Il padre del centrosinistra ritiene che il partito di Schlein sia  un nuovo esperimento di partito personale.


Chi consiglia Elly Schlein farebbe bene a ridimensionare la frase di Romano Prodi a quello che è. Per allontanarsi dai giornalisti, che Prodi ha sempre ritenuto degli scocciatori, ha rilasciato la mezza dichiarazione: “Elly può fare la federatrice”. A parte che non si capisce cosa si debba federare, a sinistra, non si capisce neppure a cosa serva questo parlare di federatore a pochi mesi dalle elezioni europee che si annunciano difficilissime sia per il Pd sia per il M5s. A tal proposito c’è una bella battuta di Paolo Cirino Pomicino che è un Prodi maturato meglio, sorridente, che oggi dice: “Più che un federatore, mi sembra che alla sinistra serva un federale”. La frase di Prodi è invece servita a titolare sui giornali  “Prodi blinda Schlein”, ma non serve a Schlein. Conte la prende quotidianamente a schiaffoni anche perché al Nazareno si è deciso di non attaccare l’ex premier. E’ una decisione politica. Si è stabilito che il nemico è Meloni, che Conte non debba essere “dileggiato” perché il Pd è il primo partito d’opposizione è “ha il dovere”, si dice sempre  al Nazareno, di tenere un profilo diverso. E’ una scelta, discutibile o meno, ma è una scelta che espone il Pd a critiche. A prescindere da Casalino (che deve fare sapere al mondo che dietro Conte c’è lui, e non è più vero; ormai Conte basta a Conte) ben più pesante delle sue vanterie è quanto detto dall’ex direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli. Risale all’11 dicembre, nel corso della rassegna stampa “24 mattina”.

E’ un audio che i deputati del Pd stanno rilanciando. Si parla di come Conte abbia scalato il centrosinistra, come sia diventato il leader “dell’opposizione che si muove meglio in assoluto”. Mieli nota che il Pd ha due scelte e che una di questa è prendersi “Casalino invece di dare soldi a destra o a manca a dei cretini, perché quelli che la consigliano sul modo di presentarsi sono tonti” (per completezza: l’altra scelta è che il Pd metta in agenda il “tema della felicità”, dice ancora Mieli, ma non è chiaro se sia il Mieli vero o il Mieli burlone). Il Pd di Schlein è ancora convinto che l’evento della Tiburtina sia stato un successo. Commentare sarebbe vilipendio di cadavere. Il Pd sta ora lavorando, attraverso il solito Bruno Vespa, a un faccia a faccia televisivo con Meloni. Dopo che Meloni ha attaccato Schlein ad Atreju, accusandola di viltà, “di non avere il coraggio”, la segretaria chiede alla premier di duellare in televisione. In Francia si chiama l’esprit de l’escalier, in politica “occasione mancata”. Sin dall’inizio tra il Pd di Schlein e il vecchio Pd, la distanza è stata enorme, ma adesso sono davvero due. L’operazione Tiburtina, l’altro Pd, e in questo c’è pure Prodi, la definisce una “manifestazione da spaesati”. Enrico Letta se l’è presa con Renzi, almeno come spiegano i semiologi del partito. E’ salito sul palco e si è detto contento per “un primo motivo straordinario: vedo un cambio di linea, di immagine, la torre di Pisa e non la cupola del Brunelleschi”.

Oltre a Letta, Gentiloni, Prodi e Bindi, c’era un assente di peso, un irritato nuovo. E’ Walter Veltroni e ovviamente, grazie a questa defezione, entra a far parte, pure lui, come Gentiloni, del gruppo “Zero K”. E’ il gruppo dei possibili curatori fallimentari da scongelare nel caso di disgrazia. E la disgrazia, anche per Prodi, potrebbe essere  imminente. Secondo il Professore la segretaria sarà costretta a inseguire Meloni e nel farlo contribuirà ad avvalorare quanto pensa Meloni, ovvero che siamo entrati nel semipresidenzialismo di fatto. Senza accorgersene, sarà Schlein a tirare la volata al premierato. Nessuno nel Pd ha ancora il coraggio di dirlo ma presto qualcuno forse inizierà (l’intervista di Marianna Madia, a Repubblica, a Lorenzo De Cicco, titolo “Mancava Renzi, lui è uno di noi”, è una spia): il primo anno di Schlein viene definito adesso, nel Pd, non il suo, come “renzismo incolore”, “una rottamazione a metà”. Sono tornati in pratica dove li ha lasciati Renzi, ma senza i voti del  Renzi migliore.
 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio