L'editoriale del direttore

Viva l'europeismo di Meloni

Claudio Cerasa

La sfida sulla concorrenza. Il nuovo Pnrr che responsabilizza il governo. E i soldi europei che mettono in crisi i meccanismi della politica identitaria (e Salvini). Spunti incoraggianti dalla fase due meloniana, oltre i complotti

Vincoli, riforme, soldi e solidarietà: il populismo si batte anche così. La notizia della decisione del governo di permettere all’Italia di superare il così detto “servizio di tutela” per l’energia elettrica e il gas è stata utilizzata da molti osservatori come un’occasione utile per segnalare un’ennesima frizione tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini. La frizione c’è, naturalmente, e le polemiche del vicepremier contro la premier, via Raffaele Fitto, sono evidenti. Ma la storia di quella legge merita di essere isolata per un’altra ragione che riguarda un dato che promette di essere il vero filo conduttore del secondo anno di governo meloniano. E il dato è presto detto. Attraverso l’aiuto dell’Europa, il presidente del Consiglio, giorno dopo giorno, sta migliorando la reputazione del suo governo, si sta allontanando dai suoi vecchi alleati tossici, sta costruendo nuove alleanze in Europa con i suoi vecchi nemici, si sta emancipando dalla stagione del sovranismo e sta mettendo in crisi, con i fatti, i meccanismi della politica identitaria. Il Pnrr c’entra con l’approvazione della legge che permette di superare il “mercato tutelato” (che significa arrivare a una piena liberalizzazione nel settore attraverso l’adozione di regole finalizzate ad assicurare un passaggio trasparente al mercato libero) perché quella legge era uno degli obiettivi del Pnrr. E senza l’approvazione di quella legge, che dal 2019 rinviavano tutti i governi, la Commissione europea non avrebbe dato il via libera alla richiesta della quarta rata da 16,5 miliardi arrivata giusto due giorni fa.

 

Nonostante qualche intoppo, dunque, il meccanismo  del Pnrr – noi facciamo riforme strutturali e in cambio l’Europa ci dà molti soldi per rendere l’Italia più innovativa – continua a funzionare. E in vista dei prossimi mesi, il dato rassicurante è che il nuovo Pnrr, approvato venerdì scorso dalla Commissione europea, ha una dotazione finanziaria più robusta rispetto a quella del passato (194,4 miliardi contro i 191,5 miliardi del precedente), ha un numero di riforme superiore rispetto al Pnrr di Draghi (sette in più), ha un capitolo aggiuntivo (RePower Eu) che vale 11,2 miliardi (e che è fatto sostanzialmente da semplificazioni per velocizzare l’installazione di impianti energetici) ma ha soprattutto un bollino importante che è quello del governo Meloni che permette all’Italia di presentarsi a livello internazionale con una forza non da poco: avere a disposizione un poderoso piano di investimento scritto nella passata legislatura da un pezzo dell’attuale opposizione (Pd e M5s) e fatto proprio in questa legislatura anche dall’unico partito che quel Pnrr, nella passata legislatura, non lo aveva vidimato, ovvero Fratelli d’Italia. L’Europa come fonte di soluzioni, non di problemi. L’Europa come sorgente di opportunità, non di seccature. L’Europa come alleata, non come nemica.

 

Lo schema utilizzato da Meloni sul Pnrr è lo stesso che la premier ha tentato di adottare in questi mesi sull’immigrazione, con risultati non sempre soddisfacenti, ma è uno schema che mette in mostra sorprendentemente un modello che è l’opposto rispetto a quello nazionalista sbandierato da uno dei vicepremier del governo (Matteo Salvini) e dai suoi alleati anti europeisti (AfD, Le Pen, Fdp, e molti altri) che si ritroveranno domenica a Firenze con poche cartucce a disposizione per dimostrare la bontà delle proprie tesi e per poter affermare con credibilità che l’Italia per  avere maggiore solidarietà, per avere maggiore flessibilità, per avere maggiori aiuti sul Patto di stabilità, per avere maggiore sostegno sulle politiche migratorie ha bisogno non di più Europa ma di meno Europa. Vincoli, riforme, soldi e solidarietà: il populismo si batte anche così. E il fatto che Meloni lo abbia capito è una buona notizia non solo per il governo ma anche per l’Italia. Viva il Pnrr.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.