Il voto di martedì

Meloni si è arresa? Per Expo il governo manda a Parigi la sottosegretaria Tripodi

Gianluca De Rosa

L’assenza della presidente del Consiglio nel momento decisivo ha il sapore di una resa. Di una sconfitta su cui non si vuole mettere la faccia. Gli ambasciatori italiani continuano a lavorare per provare a battere Riad e Busan. E il sindaco di Roma Gualtieri invita a una riflessione: "Con i petrodollari tutti gli eventi nel Golfo"

Giorgia Meloni martedì prossimo, il 28 novembre, non andrà a Parigi. All’Assemblea generale del Bureau International des Expositions, durante il voto per scegliere quale città tra Roma, la saudita Riad e la coreana Busan ospiterà l’esposizione universale del 2030, per il governo non ci sarà neppure il vicepremier Antonio Tajani. L’esecutivo, sia chiaro, sarà rappresentato lo stesso. Ma in tono minore. Nella capitale francese ad assistere al voto andrà la sottosegretaria di Forza Italia al ministero degli Esteri, Maria Tripodi. Almeno fino a ieri era questa la posizione di palazzo Chigi. Una scelta che, come rimarcano dal comitato promotore, non cambia nulla nella corsa all’ultimo voto: la squadra di diplomatici coordinata dall’ex ambasciatore Giampiero Massolo è ancora a lavoro per convincere gli indecisi tra i delegati dei 182 paesi che voteranno martedì a dare il loro sostegno alla capitale. Ma è anche una scelta che dà la sensazione netta, troppo netta, che il governo italiano abbia mollato la sfida. L’assenza della presidente del Consiglio nel momento decisivo ha il sapore di una resa. Di una sconfitta su cui non si vuole mettere la faccia. Un maligno ieri ironizzava così: “Ma come, la presidente del Consiglio può fare una figura di palta internazionale parlando per 20 minuti con un comico russo che si spaccia per un leader africano e non può andare a Parigi anche con il rischio di non vincere?”.

 

La presenza annunciata di Meloni mostrerebbe invece che il nostro governo crede nella possibile vittoria sulle altre due città in concorso. Almeno quanto ci credono le avversarie, Corea del Sud e Arabia Saudita. Non è detto che sia una coincidenza che dopo un lungo giro europeo, ieri sia arrivato a Parigi il coreano Yoon Suk-yeol (avrà un confronto bilaterale con Macron). La Corea fino a oggi è terza per consensi informalmente raccolti, ma sta lavorando al massimo della cilindrata per recuperare terreno proprio in queste ore, sfruttando anche la forza dei partner industriali della sua candidatura (Samsung in testa). Martedì i delegati voteranno a scrutinio segreto e quindi le sorprese sono sempre possibili (il comitato italiano ha chiesto di impedire l’accesso in sala di dispositivi elettronici, con i quali qualcuno potrebbe provare a certificare il voto). Ognuno dei 182 delegati  ha a disposizione una sola scelta. Al primo turno si vince con i due terzi. Se nessuno raggiunge questo quorum, le due città più votate si sfidano in un secondo scrutinio, quando la classifica che risulterà dal primo turno potrebbe anche essere ribaltata. Insomma, almeno sulla carta, le sorprese non sono escluse, anche perché nessuno dovrebbe farcela subito. L’attuale pallottoliere recita tra gli ottanta e i novanta voti per Riad, tra i cinquanta e i sessanta per Roma e tra i quaranta e i trenta per Busan. Ma sono numeri da prendere con le pinze. Non in grado di escludere alcuno scenario. Anche quello di un terzo posto per l’Italia. Uno smacco molto improbabile, ma non impossibile e che spiega la prudenza del governo. E però, se Roma arrivasse seconda, cercando di prendere i voti di Busan al ballottaggio potrebbe sperare nel miracolo, nella vittoria al novantesimo. Gli ambasciatori ci credono, il governo che manda a Parigi solo un sottosegretario sembra dire di no. Anche la Regione Lazio mantiene la riserva. Il governatore Francesco Rocca potrebbe anche non andare e mandare in rappresentanza la sua vice Roberta Angelilli. Ha sciolto le riserve invece  il sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Martedì sarà a Parigi: “Abbiamo fatto il massimo, ora bisogna vedere se tutto questo lavoro porterà i voti”, ripeteva ieri prima di invitare a una riflessione: “Se i paesi ritengono che tutti i grandi eventi internazionali, dai Mondiali alle Olimpiadi alle Expo, ormai devono andare tutti nel Golfo perché sono comprati con i petrodollari, allora si faranno lì perché si hanno più soldi, dobbiamo accettarlo. E’ una scelta, ma noi diciamo al mondo: occhio!”.

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