Roma Capoccia
Settimana decisiva per Expo. E un'incognita: Giorgia Meloni andrà?
La campagna elettorale si è spostata a Parigi: il 28 il voto. La guerra di nervi e l’Italia “tradita” anche dall’amica Albania
Quella che si è aperta lunedì è la settimana decisiva. Gli ultimi giorni prima del voto dei 182 delegati, di altrettanti paesi, che decideranno quale città, tra Roma, la saudita Riad e la coreana Busan ospiterà l’esposizione universale del 2030. Chi vive a Parigi ha la percezione plastica di chi di più e con più forza ha investito sulla candidatura. La capitale francese da alcuni giorni è piena di cartelloni che pubblicizzano la città saudita. Il principe ereditario e primo ministro Mohammad Bin Salman ha investito quasi 8 miliardi per promuovere la candidatura, quasi il doppio della spesa corrente di Roma Capitale, qualche ordine di grandezza in più rispetto a quanto investito dall’Italia nella campagna elettorale. L’esposizione universale come il calcio. Passi di ammodernamento e di egemonia. Anche perché l’esposizione cade proprio nel 2030, l’anno orizzonte della Vision 2030 di Mbs, la transizione dell’economia saudita oltre il petrolio (raggiunta però con la forza economica che oggi il petrolio garantisce). Un potere economico spropositato e usato con faccia tosta, come evidenziato dall’investimento sull’As Roma da parte dei sauditi che hanno acquistato lo spazio per piazzare lo sponsor “Ryad season” che ha sostituito la scritta SPQR sulle magliette della squadra giallorossa. L’altra avversaria della capitale, Busan, sta invece spendendo tutto il capitale tecnologico delle eccellenze imprenditoriali coreane, da Samsung a Lg. Il capo del marketing di Samsung a settembre è finito persino a San Marino per sponsorizzare la candidatura di Busan. Insomma, sia sauditi che coreani vanno avanti con un’attività di lobbying spietata che ha convinto anche paesi storicamente amici dell’Italia a non votare Roma. Tra questi anche l’Albania: aiuto con i migranti sì, ma per Expo si vota Riad.
Roma dal canto suo punta sui numeri. Su un Expo che, come dice il presidente del comitato promotore, l’ex ambasciatore Giampiero Massolo: “Non celebri la città che lo ospita, ma valorizzi tutti i paesi che partecipano”. Tradotto in numeri, i diplomatici al lavoro sulla candidatura di Roma ricordano come a Milano 2015 i visitatori dell’esposizione sono stati 30 milioni, più del triplo dei 7 milioni che nel 2021 si sono recati a Dubai. Il voto sarà martedì 28 novembre, dopo l’esposizione delle candidature davanti all’Assemblea generale del Bureau international des expositions. Ognuno dei 182 delegati ha a disposizione una solo scelta. Al primo turno si vince con i due terzi. Se nessuno raggiunge questo quorum, le due città più votate si sfidano in un secondo scrutinio. In entrambi i turni, il voto è segreto. Alcuni segnali però sono preoccupanti. Non si sa ancora ad esempio chi parteciperà alla votazione per il governo italiano. Andrà la presidente del Consiglio Giorgia Meloni? Dal comitato promotore sperano di sì, ma da Palazzo Chigi non giungono informazioni in proposito. Persino Andrea Abodi, ministro dello Sport, individuato negli scorsi giorni come potenziale sostituto della premier a Parigi, ora sembra in forse. Il sindaco Gualtieri, che nelle scorse settimane ha svolto diverse missioni in Africa per recuperare alcuni voti, dovrebbe andare, ma anche in Campidoglio usano il condizionale. Pure sulla presenza o meno del governatore della regione Lazio Francesco Rocca non ci sono certezze. La ragione è presto detta. Il timore è che Roma non solo non ce la faccia, ma, addirittura, possa arrivare terza. L’attuale pallottoliere recita una novantina di voti circa per Riad, 55 per Roma e tra i quaranta e i trenta per Busan. Ma sono numeri stretti. Non c’è sicurezza neppure del secondo posto. Alla cena a dello scorso 21 novembre a Parigi con Gualtieri, Massolo e il presidente della commissione Expo della Regione Lazio Luciano Nobili, c’erano i delegati di 60 paesi, ma tutti voteranno per Roma? I diplomatici della squadra di Massolo proseguono i colloqui bilaterali con i delegati, ma si sa che quella per conquistare la vittoria è una guerra di nervi. A Parigi qualcuno ha persino cominciato a far circolare la voce che l’Italia possa ritirare la sua candidatura prima del voto. E’ una gara a mostrarsi più forti. Sapere chi andrà aiuterebbe a far capire che l’Italia lo è e magari sperare davvero nel miracolo, nel ravvedimento di un pezzo d’occidente sul modello Riad.
Roma Capoccia