(foto Ansa)

l'intervista

Calderisi: "L'elezione diretta del premier senza nuovi poteri è dannosa"

Luca Roberto

L'ex Pdl esperto di riforme e sistemi elettorali: "Il disegno di legge proposto dal governo è solo una bandierina. Anziché affrontare le storture del bicameralismo perfetto, si concentra su un problema marginale come i senatori a vita"

Il disegno di legge di riforma costituzionale voluto dal governo è una bandierina. Dispone un’elezione inutilmente diretta del premier, che per la stabilità del governo avrebbe invece bisogno di tutto un corredo di poteri che il testo non prevede. Piuttosto che risolvere i problemi di stabilità di cui soffre il nostro assetto istituzionale, rischia di aggravarli”. Giuseppe Calderisi è un grande esperto di sistemi istituzionali. Ex parlamentare di estrazione radicale, ha militato per anni nel Pdl. Cosa non la convince della proposta avanzata da questa maggioranza? “Bisogna partire da un dato di fatto. In Italia si sono succeduti 68 governi in 76 anni repubblicani. Abbiamo una forma di governo ben più instabile degli altri paesi europei. Eppure la soluzione non è l’elezione diretta del premier, perché in nessun’ altra democrazia parlamentare, se non in Israele per un breve periodo di tempo, sono esistite forme di premierato elettivo”, spiega Calderisi. “La differenza la fanno le forme di razionalizzazione parlamentare e i poteri di cui dispone il capo del governo, che gli consentono di governare le tensioni interne alla sua maggioranza”.

 

Facciamo qualche esempio specifico. “In Germania il cancelliere, che non viene eletto direttamente, ha il potere di rimuovere i ministri. Ma può anche, in caso di bocciatura di una mozione di fiducia, chiedere e ottenere lo scioglimento della Camera bassa: uno strumento di deterrenza usato, per esempio, per indurre i Verdi a votare a favore dell’invio di truppe in Afghanistan, dopo l’11 settembre del 2001”. Un potere analogo ce l’hanno i premier in Spagna e Regno Unito. Niente di tutto ciò viene invece previsto nella riforma scritta dalla ministra Casellati. “C’è poi un’ulteriore considerazione da fare: l’elezione diretta del premier andrebbe a intaccare la fonte di legittimità del presidente della Repubblica e il suo ruolo di garanzia. Avremmo un sistema istituzionale non equilibrato, con una scissione tra potere e responsabilità inaccettabile per i principi del costituzionalismo liberale”. Un altro pasticcio, secondo l’ex parlamentare, è la cosiddetta clausola “anti-ribaltone”, la quale prevede che, qualora cada il premier, l’incarico possa andare allo stesso premier o a un parlamentare eletto con la maggioranza originaria, anche se votato da una maggioranza diversa: “In un sistema basato su coalizioni, in pratica si istituzionalizzerebbe la competizione di potere all’interno della maggioranza per la successione alla premiership. Ecco perché forse Salvini si dice così favorevole”, scherza Calderisi.

 

Passiamo al capitolo legge elettorale. Nella bozza di riforma si prevede un premio di maggioranza fino al 55 per cento per la coalizione collegata al premier vincitore. “Ma tocca sempre tenere in considerazione i paletti fissati dalla Corte Costituzionale per l’Italicum. Perché nel caso di non raggiungimento da parte di alcun partito o coalizione almeno della soglia del 40 per cento, il premio dovrebbe essere superiore al 15 per cento dei seggi, un’enormità. Nel testo non si fa menzione di un turno unico, ma è chiaro che una legge elettorale che non prevedesse il ballottaggio sarebbe inevitabilmente esposta ad un nuovo intervento della Corte”, spiega Calderisi. Il quale comunque si augura che si possa dar vita a una legge elettorale senza premio di maggioranza, che favorisce le componenti più estremiste e populiste di ciascun polo. “Se si vuole costruire un serio bipolarismo tra riformisti e liberal-conservatori, e anche Giorgia Meloni ha detto di voler costruire un polo in tal senso, la legge migliore sarebbe un uninominale con ballottaggio tra i primi due, se nessuno supera il 50 per cento al primo turno. Valorizzerebbe le componenti di centro all’interno di ciascuna coalizione, perché per vincere i collegi occorrerebbe conquistare il voto degli ‘elettori di mezzo’ che valgono il doppio”. Anche sul collegamento tra la riforma costituzionale e la legge ordinaria per l’autonomia differenziata, che il governo vorrebbe far avanzare in parallelo, secondo Calderisi ci sono un bel po’ di criticità: “Perché è irrealizzabile senza una sede di raccordo istituzionale tra stato e regioni e senza revisione del Titolo V della Costituzione con una clausola di supremazia statale che eviti il suicidio dello stato in diverse materie concorrenti. Ma evidentemente si è deciso di concentrarsi su un aspetto secondario come l’eliminazione dei senatori a vita, lasciando invece intatto il bicameralismo paritario e non affrontando la grave disfunzione rappresentata dall’abuso della decretazione d’urgenza, risolvibile con una corsia preferenziale per l’attività normativa del governo in Parlamento”.