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Pd compatto contro il premierato: “E' un pasticcio che fa saltare il sistema”

Gianluca De Rosa

Dall'elezione diretta alla norma "anti ribaltone". Tutte le cose che non piacciono ai dem della riforma costituzionale di Meloni e Casellati. Parlano Alessadro Alfieri, Stefano Ceccanti e Dario Parrini

“Non c’è dubbio che la maggioranza abbia fatto dei passi indietro rispetto all’ipotesi di presidenzialismo o di premierato integrale, ma il risultato di questo compromesso è un pasticcio che rischia di creare diversi problemi senza risolverne nessuno, aspetteremo il testo per capire meglio, ma, da quello che emerge, la riforma non ci convince affatto”, dice Alessandro Alfieri, deputato Pd e responsabile per le riforme della segreteria di Elly Schlein. Dentro al Pd la proposta di premierato, il ddl Casellati avallato ieri dalla maggioranza (venerdì andrà in consiglio dei ministri), è stata accolta con sfumature diverse, accomunate solo da una convinzione comune: così il Pd non ci sta. Stessa posizione di Azione e M5s.  Matteo Renzi e Iv hanno invece già detto di essere favorevoli. La proposta, rivista dalla ministra per le riforme Casellati per accogliere la richiesta delle opposizioni, in particolare di Pd e Azione,  di rafforzare il premier, ma senza intaccare i poteri del presidente della Repubblica, non arretra sull’elezione diretta del presidente del Consiglio ma, anche per evitare incidenti diplomatici con il Quirinale, introduce meccanismi – dall’impossibilità per il premier di revocare i ministri fino alla contestatissima norma “antiribaltone” – che ne fanno, dice Alfieri un “premierato annacquato”. Ma è proprio questo, per paradosso, che non piace al Pd, perché, si teme, il centrodestra prova a cambiare la forma di governo del paese surrettiziamente, senza dirlo insomma. “La maggioranza prova a mascherare quest’operazione, ma basta l’elezione diretta del presidente del consiglio per ledere i poteri del presidente della Repubblica e far saltare il sistema come funziona oggi, non c’è bisogno di altro”, dice il capogruppo dem in commissione Affari costituzionali a Palazzo Madama Dario Parrini. “Con un presidente del Consiglio eletto dal popolo i poteri arbitrali del presidente della Repubblica, sono annullati, non c’è alcun meccanismo correttivo che tenga”.

 

Anche chi, come il costituzionalista Pd Stefano Ceccanti, non teme “stravolgimenti costituzionali”, ha seri dubbi sul ddl costituzionale del governo. “Per avere una bandierina, l’elezione diretta del premier, si disinteressano di tutto il resto e così creano una serie di problemi che rischiano di irrigidire il sistema”, dice. Il suo ragionamento è questo: “Se la maggioranza vuole fare sul serio si potenzino i poteri del premier, ma senza cambiare la forma parlamentare. Lo si può fare sulla scia di quanto avviene in Germania. Il modello del cancellierato tedesco con la fiducia a una sola camera (con eventuale fusione di Camera e Senato), possibilità per il presidente del Consiglio di proporre al presidente della Repubblica non solo la nomina ma anche la revoca dei ministri e sfiducia costruttiva, secondo la quale per sostituire il presidente del Consiglio è necessario proporne un altro con la maggioranza assoluta dei componenti che converge su quel nome”.

Sull’elezione diretta d’altronde Ceccanti la pensa come Parrini: “Va benissimo inserire il nome del premier sui simboli elettorali della scheda, come in Italia è già avvenuto per anni, ma sancire in Costituzione il principio dell’elezione diretta è tutta un’altra cosa, magari  all’inizio di una legislatura non c’è una grande differenza sostanziale, ma se un premier è eletto direttamente logica vorrebbe che non si possa sostituire con un altro”. E però il centrodestra introducendo il meccanismo “anti ribaltone” prova proprio a fare questo: in caso di crisi il Quirinale può, solo una volta per legislatura, incaricare un membro del Parlamento della stessa coalizione di formare un nuovo governo a patto però di non cambiare maggioranza. “E la presa in giro sta tutta qui”,  dice Parrini. “Perché basta che il presidente del Consiglio sfiduciato trovi dieci fedelissimi non disponibile a votare la fiducia al nuovo premier per far saltare il banco, di fatto quindi si tornerebbe al voto e basta, limitando moltissimo il potere del presidente della Repubblica”. Ne è convinto anche Alfieri: “Si cerca di copiare il meccanismo con cui in caso di crisi si alternano i premier della stessa maggioranza in  Regno Unito, ma in un modo assolutamente non convincente”. La differenza con il Regno Unito è legata soprattutto al sistema politico. Spiega  Ceccanti: “Quello inglese  è un sistema con due grandi partiti dove in caso di crisi il nuovo premier è scelto dalla democrazia interna al partito di governo, è un meccanismo consolidato che qui non funzionerebbe”.