I guai del "non-sapere"

La sinistra che scivola verso il collateralismo su Gaza. Parla il prof. Pasquino

Marianna Rizzini

Confondere Hamas e Palestina, e antisionismo e antisemitismo. Il professore emerito di Scienza Politica invita la sinistra, a “riflettere sulla necessità di ribadire il diritto di Israele a esistere. Solo dopo ci si può permettere di criticarne il governo". La confusione degli studenti e la manipolazione della realtà

Le immagini e le parole che arrivano dal teatro mediorientale ci interrogano profondamente. In particolare, interrogano profondamente chi, a sinistra, fino a oggi pensava di avere chiare nella mente le categorie di guerra, pace, oppressi e oppressori. Il fondamentalismo islamista che sparge terrore, l’ospedale di Gaza colpito tra opposte accuse, le manifestazioni e le trasmissioni in cui si fa confusione tra Hamas e popolo palestinese, l’attentatore di Bruxelles che, si scopre, era passato per Lampedusa: le circostanze chiamano oggi a un ragionamento più articolato del tifo politico. E le frasi di ieri (da “due popoli, due stati” a “Palestina libera”) non bastano più a contenere la complessità del presente, sia sul fronte del contenimento del conflitto sia sulla gestione dei flussi migratori.

 

Chiediamo lumi a Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica, socio dell’Accademia nazionale dei Lincei e docente alla John Hopkins University, in passato anche senatore per la Sinistra Indipendente e candidato sindaco ulivista a Bologna. “Non è soltanto confusione, quella che capita di vedere e ascoltare in questi giorni”, dice, “ma ignoranza. Purtroppo molti non sanno, non hanno idea”. È successo anche nelle scuole e nelle università: collettivi che organizzano cortei dalle parole d’ordine ambigue, frasi sui social contro Israele. “A volte mi chiedo, di fronte ad alcune prese di posizione degli studenti su questi temi: ma questi ragazzi quali libri hanno letto? Su quali fonti si sono informati, se si sono informati? Alcune frasi mi paiono infatti frutto non soltanto di non conoscenza, ma anche di manipolazione. E c’è una sorta di collante: l’antiamericanismo che si riverbera contro Israele, considerato avamposto mediorientale degli Stati Uniti. A questo si aggiunge una dose di anticapitalismo. Queste persone non sanno neanche che cosa siano i kibbutzim”, dice Pasquino citandoli al plurale, dopo l’attacco del 7 ottobre in cui il terrore è stato portato direttamente nelle case dei diversi insediamenti agricoli collettivi.

 

E invita la sinistra, Pasquino, a “riflettere sulla necessità di ribadire, in queste ore, il diritto di Israele a esistere. Poi, soltanto dopo aver riflettuto, ci si può anche permettere di criticare il governo Netanyahu, cosa che gli israeliani di sinistra hanno fatto. Altro pericolo: bisogna evitare che la confusione e l’ignoranza portino a dare sostegno indirettamente ad Hamas mentre si pensa di dare sostegno al popolo palestinese. Detto questo, la risposta di Israele deve essere proporzionale. Nel perseguire l’obiettivo di distruggere Hamas, non si può non tener conto di chi si trova a vivere in quelle zone e del fatto che Hamas non è interessata alla costituzione di uno stato palestinese, altrimenti non avrebbe agito come ha agito”.

 

C’è un altro tema che attraversa trasversalmente destra e sinistra, ma che a sinistra pesa e stupisce, vista la storia del Novecento e la presenza tradizionale in piazza il giorno della Memoria: una sorta di fatica a condannare senza se e senza la “caccia all’ebreo” di Hamas. Da dove viene, questo riflesso? “Purtroppo c’è chi confonde l’antisionismo con l’antisemitismo”, dice Pasquino, “come se non ci si ricordasse più che cosa è stato l’Olocausto, come se dilagasse una specie di non-conoscenza collettiva diffusa”.

 

Anche la storia dell’attentatore di Bruxelles, sbarcato in Sicilia e risalito lungo la penisola per poi spostarsi nell’Europa del Nord, interroga le forze politiche. C’è chi, a destra, ha subito parlato di rischio-immigrazione (Matteo Salvini e Giorgia Meloni in primis). Ma a sinistra non ci si può non chiedere se, in questo quadro, non si debba alzare il livello di allerta. “Il rischio che tra chi sbarca ci possa essere un potenziale attentatore esiste”, dice Pasquino, “ma chiediamoci, nel caso dell’attentatore di Bruxelles: la radicalizzazione era già avvenuta prima dello sbarco o l’uomo si è radicalizzato negli anni successivi? Poniamoci dunque anche il problema di che cosa si racconta nelle moschee sul territorio italiano. Non esistono lupi solitari. Esistono gruppi di persone, aiuti finanziari e contatti con altri gruppi non italiani. È un tema complesso. Ma purtroppo vedo molti studenti fermarsi al concetto di ‘Palestina oppressa e quindi mi schiero a prescindere’. Nessuno sta con Hamas, ma il concetto che Israele maltratti i palestinesi è molto diffuso”. Il professore racconta di aver provato ad approfondire la questione, aprendo un dibattito nelle aule universitarie. Invano: “È come se a molti non importasse capire, ci si ferma alle prese di posizioni viscerali”. C’entra anche forse la diffusione di fake news e slogan sul web. “Non possiamo certo bloccare internet, però sarebbe il caso di prepararsi a un’operazione di sistematica denuncia di errori e frasi violente, in alcuni casi quasi di istigazione a delinquere”. 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.