manifestazione nella capitale

“Israele boia, Palestina libera”. A Roma va in scena l'intifada di Di Battista 

A Piazza Vittorio va in scena la manifestazione in sostegno al popolo palestinese. Tra ragazzi, palestinesi e donne di borgata che lottano per i consultori

Carmelo Caruso

La kefiah con le tarme. E’ tornata la sciarpa araba che, in Italia, da trent’anni, è la stoffa dell’imbroglio, il “boia Israele”, “maledetto Netanyahu, pezzo di merda”. Alle 18, a Piazza Vittorio,  Maia urlava senza sapere la traduzione italiana,  “con la vita e con il sangue chiediamo indietro Gerusalemme”. Rivolgendosi a Mirko intimava: “Restituisci la mia Peroni. L’ho pagata io”. Sedici anni ciascuno. I peggiori erano gli anziani della Cgil, gli esodati di Mao, a cui brillavano gli occhi nel vedere questi ragazzini smerciare volantini con la frase: “Eroica e sacrosanta risposta contro la politica di sterminio di Israele”. Si specchiavano felici lungo le vetrine con il  loro mantello pieno di acari. Alessandro Di Battista, il Kapucinski del Fatto, che ha convocato la Palestina, e questa manifestazione, era in ritardo causa traffico. 

Alle 19, lo cercavano gli operatori della televisione: “Ma er Dibba? Dov’è?”. E’ apparso fuori orario, come questa piazza, che era fuori-tempo, per dire “condanno Hamas”. Abbiamo in pratica il primo Buscetta dell’Intifada. Al posto di Dibba, in prima linea, c’era un giornalista iracheno che ha fatto la fortuna delle reti Mediaset. Sembrava fosse posseduto da Satana quanto urlava e c’erano momenti che si temeva il coccolone, che gli scoppiasse la vena del collo. “Israele boia, Palestina libera”, “maledetto Israele”, era lo slang. Qui si è rimasti a “la Palestina deve avere uno stato”. Quando un giornalista ha fatto notare, a un ragazzino, “ma guarda che la Palestina uno stato lo ha”, questo piccolo combattente ha risposto: “E allora ne deve avere di più”.

Samir che gestisce il chioschetto dei fiori, in piazza, e che vende una pianta di limone a soli venticinque euro, “è un buon prezzo, fidati”, sta per la pace, ma la sua. Teme che gli israeliani faranno di Gaza un ampio parcheggio, una spianata, ma teme pure che “oggi, non si venderà nulla. Prenditi il limone. E dai!”. La piazza è transennata come nel 1977, anno che rimpiange il pensionato Mario, con la camicia verde. Sembra di stare, a tratti, a Pontida, dalla Lega. Da cinquant’anni manifesta per la Palestina libera e ogni anno, per lui, queste manifestazioni sono feste di compleanno. La Digos è ovunque, meglio dei Servizi israeliani. Anna Cinque, commessa a Centocelle, consiglia di allontanarsi: “Sai com’è? Si può finire come a Catania con la giudice Apostolico. Tra cinque anni qualcuno può dire che eri un hezbollah, del resto, la faccia ce l’hai”.

Da sinistra, della piazza, arrivano i ragazzi del liceo Gassman, dalla destra, un gruppo di Potere al popolo, dal centro, ancora, ci sono quelli dei Centri sociali di non si sa dove, con la maglia Majakovskij. Indossano una t-shirt con impresso un verso del poeta russo suicida: “Il partito è la spina dorsale della classe operaia”. Si alzano i cori “Free Palestine”. Il solito giornalista iracheno, una manna dal cielo, di Allah, rilascia più interviste di Fabrizio Corona che è atteso la prossima settimana da Nunzia De Girolamo. E’ caricato a odio come un carillon. La marcetta è sempre “Israele boia, Palestina libera”.  Arrivano zaffate di hashish. Tutti i presenti inalano la migliore erba che Franco dice “è pure gratis. Questa almeno è free come deve essere la Palestina”.

Prima delle 18, racconta un poliziotto, il corteo organizzato da studenti di sinistra ha cercato i militanti di destra, “quelli di Salvini, quelli della destra europea che sono ospiti a Roma per un evento. E’ sempre la stessa roba: in questa città la Palestina è solo un pretesto per darsi le mazzate”. Le donne arabe sono intabarrate, i bambini anziché giocare a pallone sono mandati avanti con le foto di palestinesi scannati da “israeliani bastardi”. C’è l’imbarazzo della scelta. Una giornalista: “Mi serve un palestinese che racconti una storia”. Maya Issa, 24 anni, presidente del movimento studenti palestinesi, e iscritta a Scienze Politiche e relazioni internazionali, chiede una Norimberga per Israele, il processo epico. Ci sono così tante barbe che potrebbe essere il paradiso dei barbieri. Non si capisce che cosa c’entri, ma arrivano pure le donne di “borgata che si autodifendono dalla destra che nega reddito, casa, consultori e lavoro”.

Il ragazzo che ha preso il megafono dice che “i popoli in rivolta sono vicini nella storia”, che pare una frase presa dai Ribelli di Eric Hobsbawm. Sempre grazie a Samir scopriamo che qui, a Piazza Vittorio, la comunità che sta al governo del parco, e dunque del tavolo da ping pong, è quella cinese. Gli egiziani non si schierano, ma “si sa che sono filo palestinesi”. Le madri che somigliano a quelle siciliane, quelle che dicevano attia, mutu statti, “attento, stai zitto”, lanciano occhiate alle figlie (“non parlate”) che studiano matematica nelle scuole italiane e che sono state reclutate per questa sbornia di coltelli, mannaie e maledizioni. Sono le stesse scuole dove da giorni sono comparse sui muri frasi come “Gaza free. Valditara servo dei padroni”. Perché nasconderlo? C’è un sentimento antisraeliano. Una senatrice del Pd, due giorni fa, rivelava che dopo aver postato un messaggio a favore di Israele ha perso 400 follower. E’ l’idea che “Israele se l’è cercata” e che scatena, a sua volta, Israele che risponde, e lo dicono al ghetto di Roma, “entriamo a Gaza con le bombe, le bombe. Ci serve anche per il morale”. Le tarme, le bombe, le donne di borgata che lottano per i consultori… Samir è aperto tutta la notte e non depone le armi: “E prenditi, sto limone. E’ l’unica pace possibile. Venti euro”. 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio