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storia di due tragedie

Da Brandizzo a Mestre: la politica è incapace di mostrare pietà senza cercare un cappio da mostrare

Claudio Cerasa

Da Salvini che mette in dubbio la sicurezza dell'elettrico al Pd che propone di introdurre un nuovo reato. Le due tragedie offrono qualche spunto per provare a ragionare sul rapporto che ha la politica con le notizie di cronaca

La notizia purtroppo la conoscete già. Martedì, a Mestre, poco prima delle 20, un autobus è caduto da un cavalcavia, ha sfondato un guardrail, è precipitato per una decina di metri, è finito su una strada vicino ai binari della ferrovia e poi ha preso fuoco. Sono morte ventuno persone, tra cui anche il conducente del bus. Sono risultate ferite altre quindici persone, tra cui un adolescente e due bambini. Due ragazzi hanno perso il loro papà e la loro mamma e sono rimasti orfani.

L’incidente di Mestre ha offerto numerosi motivi per commuoversi e riflettere sulle storie dei passeggeri (i passeggeri erano tutti stranieri, il conducente era italiano, non osiamo immaginare cosa si sarebbe detto se fosse stato il contrario). Ma ha offerto anche qualche spunto di riflessione importante per provare a ragionare intorno al difficile rapporto che ha la politica con le notizie di cronaca che più colpiscono l’attenzione dell’opinione pubblica.

Lo schema, di solito, è consolidato e anche per il disastro di Mestre abbiamo visto qualcosa del genere. Arriva una notizia tragica. La notizia rimbalza su tutti i media. La politica capisce subito che quella notizia ha colpito i cuori delle persone e cerca un modo per mostrare di essere sul pezzo. Nei casi più genuini, ci si limita a esserci, fisicamente, e ad abbracciare chi è rimasto colpito da un lutto. Nei casi meno genuini, invece, si cerca di trovare un modo per dimostrare che quella tragedia è lì a evidenziare in modo palese la bontà delle proprie battaglie politiche. E più una tragedia può dimostrare qualcosa e più l’attenzione dedicata a quella tragedia aumenta sui giornali, nelle televisioni e naturalmente nelle procure. Obiettivo: cercare un capro espiatorio.

Prendete il caso di Brandizzo. La storia dei cinque operai travolti sui binari da un treno ha spinto la politica a interessarsi del caso fino a quando è stato possibile sospettare che la strage fosse figlia un “capitalismo malato” (il Pd propose di introdurre un nuovo reato: l’omicidio sul lavoro). Ma nel momento in cui è risultato evidente che la strage potesse essere figlia di una distrazione, la tragedia è passata in secondo piano (anche tra i sindacati). La tragedia di Mestre, ieri, ha messo in chiaro lo stesso schema. Ma lo ha fatto con una novità rilevante rispetto al passato: la possibilità concreta che l’incidente sia stato frutto di una fatalità, di un malore del conducente, ha avuto l’effetto di mettere in rilievo il modo con cui parte della politica cerca sistematicamente e in modo morboso di trasformare i casi di cronaca in occasioni utili a dimostrare di avercelo sempre più lungo, il fiuto per le cause giuste. E così Matteo Salvini ha cercato, ovviamente senza prove, senza sapere ancora nulla, di dimostrare che la strage di Mestre dimostra quello che la Lega ha sempre detto, ovvero che l’elettrico può essere un pericolo per l’umanità (l’autobus caduto era elettrico e Salvini ha tenuto a far sapere che “in un momento in cui si dice che tutto deve essere elettrico uno spunto di riflessione è il caso di farlo”). E il Pd, per non farsi mancare niente, ha sfruttato l’occasione per attaccare Salvini per aver “speculato” sui morti di Mestre e per aver fatto cioè la stessa cosa che il Pd ha fatto a Brandizzo, quando ha provato a sostenere che quella strage era lì a indicare che la sinistra ha ragione su quanto il capitalismo sia letale e mortale. Entrambi, accapigliandosi anche all’indomani di una strage, non hanno fatto altro però che illuminare tristemente la difficoltà che ha la politica a confrontarsi con un fatto drammatico senza avere la possibilità di mostrare uno scalpo. Senza avere la possibilità di dimostrare di avere sempre ragione. E senza riuscire a fare l’unica cosa che servirebbe di fronte a un fatto terribile come quello di Mestre: concentrarsi unicamente non su cosa c’è dietro ma solo su ciò che si ha di fronte, mostrando pietà ed empatia senza cercare un modo per alzare una nuova pena o sventolare tristemente un nuovo cappio in diretta su Instagram.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.