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L'autunno del Pnrr

Le scadenze incrociate sul Pnrr complicano le promesse di Fitto

Valerio Valentini

Il ministro per gli Affari europei aveva promesso: “Due richieste di pagamento all’anno”. Nel 2023 sarà difficile

La scadenza di fine anno. O meglio: l’incrocio di scadenze. E forse qui sta il problema, perché dall’incognita di una trattativa dipenderà la risoluzione del garbuglio sull’altra. Il che, nelle negoziazioni con la Commissione europea, non è mai rassicurante. Specie se poi c’è di mezzo una promessa solenne. Perché Raffaele Fitto, uno che dello scansare le insidie degli impegni definiti ha saputo fare un arte dacché gli tocca gestire il Pnrr, l’11 luglio scorso, per confutare le tesi di chi segnalava “ritardi” nell’attuazione del Piano, se l’era lasciato scappare, quel mezzo giuramento: “L’unico principio a cui fare riferimento sono due richieste di pagamento l’anno. E questo è il termine entro cui ci muoviamo e che rispetteremo regolarmente”, aveva detto il ministro. Solo che, a essere rigorosi, le due richieste di pagamento a Bruxelles sono quasi un miraggio, ora che alla fine dell’anno mancano appena due mesi.

Perché la terza rata, su cui tanta energia pure è stata profusa, non rientra nel novero delle richieste computabili. Quella ha a che vedere con gli obiettivi del secondo semestre del 2022, ed è stata infatti formalizzata il 3 gennaio di quest’anno solo per mere questioni di chiusura degli uffici durante le vacanze natalizie. E se la liquidazione della rata – 18,5 miliardi degli iniziali 19 previsti – non è ancora avvenuta, e Giorgia Meloni è costretta a dire che è “imminente”, è perché tribolatissima è stata la trattativa con la Commissione sul riconoscimento dei target. E così al Tesoro ancora attendono d’incassare una cifra che, nelle previsioni, doveva essere riscossa nientemeno che a fine marzo scorso. 

Poi, appunto, ci sono le due richieste di pagamento che riguardano il 2023. “Nei giorni scorsi abbiamo formalmente richiesto la quarta”, ha spiegato la premier lunedì. Ci vorranno almeno un paio di mesi, escludendo intoppi, perché il bonifico arrivi davvero. E poi c’è la quinta: quella che, nella tabella di marcia concordata con Bruxelles, e riportata non a caso anche nella Relazione del governo sull’attuazione del Pnrr, prevede 69 obiettivi  entro il 31 dicembre per un valore  di 18 miliardi. Ed è qui che, al di là del puntiglio sul rispetto delle promesse fatta da Fitto, sorgono i problemi.

Perché, stando a quanto il ministro per gli Affari europei ha condiviso due giorni fa nella Cabina di regia, e ancora ieri nelle riunione svolte a Palazzo Chigi con Confindustria, sindacati e rappresentanti di varie categorie, ci sono almeno 13 obiettivi che andranno posticipati. Di altri 6, invece, bisognerà chiedere la cancellazione o una sostanziale ridefinizione. Ora, in teoria ci si muove nel perimetro della fattibilità. Del resto anche uno dei target contenuti nella terza rata, quello che riguarda gli studentati universitari, è stato rinviato alla rata successiva, con conseguente slittamento dei 500 milioni ad esso collegati. Ma, appunto, era un solo capitolo. Qui si parla di quasi venti obiettivi: un terzo dell’intero piano semestrale. Si capisce che la richiesta diventa più ardita. Certo, l’ipotesi di riformulazione delle scadenze poggia su un’evidenza concreta, ed è su quella che insisterà Fitto con la Commissione. Perché sia i 13 obiettivi da rinviare, sia i 6 da stralciare, fanno riferimento a progetti che, nella proposta di revisione del Pnrr inviata a Bruxelles, sono stati tolti dal Piano. Progetti, cioè, che il governo non ritiene più di dover finanziare coi fondi del Next Generation Eu (e che non ha ancora spiegato nel dettaglio come intende sovvenzionare altrimenti). “Se dunque non ci sono più nel Pnrr, come possiamo continuare a contemplarli nelle scadenze semestrali?”, sarà insomma la tesi di Fitto. E forse qualcuno, a Bruxelles, obietterà che c’era un motivo, e non era un capriccio da burocrati, se la Commissione ha a lungo raccomandato al governo italiano di affrettarsi a completare il dossier sulla riforma del Pnrr senza attendere la scadenza formale di fine agosto. In fondo alla base di molte delle tensioni tra Meloni e Paolo Gentiloni c’era proprio questo sollecitare alla risolutezza da parte del commissario agli Affari economici.

Ora, dunque, le incognite vanno sciolte tutte insieme, e tutte a breve termine. A Bruxelles spiegano che il confronto sulle richieste di modifiche è in corso, e procede in un clima di collaborazione, ma difficilmente potrà arrivare a un esito definitivo prima delle verifiche necessarie. Mesi, dunque. Un paio, almeno. E si arriva a ridosso di dicembre. Solo a quel punto si potrà capire se l’ipotesi di modificare sostanzialmente gli obiettivi della quinta rata sarà solida. E poi gli obiettivi vanno raggiunti. E quindi va inviata la richiesta di pagamento. Farlo entro il cenone di San Silvestro sarà complicato.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.