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l'editoriale del direttore

Meloni e la fine del governo Virna Lisi

Claudio Cerasa

No, con quel posizionamento non può dire tutto. La fase complottistica del governo mostra una fragilità improvvisa: poche carte da giocarsi di fronte ai guai che avanzano. Oltre l’Ucraina c’è di più. Ascoltare Giorgetti sui mercati

Quando Giorgia Meloni parla di Ucraina, come ha fatto ieri sera nel suo ambizioso discorso alle Nazioni Unite, le sue quotazioni si alzano a dismisura e nella sua nuova difesa dell’occidente dall’aggressione russa è difficile trovare sbavature. In questi mesi, per Meloni, la postura in politica estera è stata cruciale per permettere al governo di guadagnare credibilità a livello internazionale. Con quel posizionamento, come si sarebbe detto un tempo parlando della bocca di Virna Lisi, Meloni può dire ciò che vuole. In effetti, per molti mesi, la posizione assunta da Meloni sull’Ucraina ha spinto gli osservatori internazionali a non dare peso eccessivo alle pulsioni demagogiche del governo italiano. Oggi però, all’indomani della sua performance alle Nazioni Unite, Meloni non potrà fare a meno di notare che per il governo la fase è cambiata e che non basta più il perfetto posizionamento del suo esecutivo in politica estera per poter dire, sul resto, ciò che si vuole.

Due giorni fa, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha confessato di avere preoccupazioni per il futuro del governo a causa di una possibile valutazione negativa dei mercati. “Rispetto l’operato dei ministri – ha detto – ma ricordo che tutte le mattine ho il problema di rendere il nostro debito pubblico accattivante per convincere la gente a comprarlo”. Le parole del ministro dell’Economia sono lì a segnalare un problema reale che gli esponenti della maggioranza dovrebbero evitare di liquidare con la semplice evocazione di uno scenario complottista. E il problema è presto detto. Da un mese a questa parte il governo ha scelto deliberatamente di entrare in conflitto con un pezzo importante del mondo economico e dalla metà di agosto a oggi la comunicazione dell’esecutivo ha messo in risalto la goffa postura anti establishment della maggioranza di centrodestra.. Si è cominciato con il decreto sugli extra profitti (sul quale anche Giorgetti era contrario). Si è proseguito con il decreto contro il caro voli (sul quale il ministro Adolfo Urso detto Urss è stato costretto a fare marcia indietro). Si è insistito con l’approccio antieuropeista (scegliendo di scaricare le difficoltà incontrate nell’implementazione del Pnrr sul commissario Paolo Gentiloni). Si è deciso di rendere opaca la comunicazione del Pnrr (al momento non esiste una stima ufficiale su quanti soldi del Piano europeo siano stati spesi in Italia nel corso del 2023). E, con il timore di non lasciare il terreno delle battaglie antisistema a Salvini (Pas d’ennemis à droite), si è scelto poi di assecondare una narrazione scivolosa, vittimista e complottista perfettamente sintetizzata giorni fa dal responsabile comunicazione di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli (“Noi sotto attacco di lobbisti, gruppi di pressione economici potenti, tanti che hanno appunto occupato spazi di potere”).

Meloni ha scommesso sul fatto che con quelle labbra, con quella postura, può dire tutto. Ha scommesso sul fatto che l’impatto prodotto da ciò che si dice non può mettere a repentaglio ciò che si è fatto. E ha investito forte sulla possibilità che la prudenza mostrata in questi mesi, sulle partite che contano, abbia messo la credibilità del governo in una cassetta di sicurezza. Il ministro Giorgetti sembra essere lì a ricordare che l’unica speranza del governo, rispetto al tema della credibilità internazionale e rispetto al tema del suo rapporto con gli investitori, è quella di non essere preso sul serio quando dice stupidaggini e di essere preso sul serio solo quando non dice fesserie. Un report elaborato da Morgan Stanley lo scorso 12 settembre, dedicato all’Italia, un report che occupa le scrivanie dei più importanti fondi di investimento del mondo, mostra che il rapporto tra il nostro paese e gli investitori è a un punto di svolta non solo per la nuova postura comunicativa assunta dal governo ma soprattutto per una dinamica nuova con cui Meloni deve fare i conti.

Morgan Stanley dice di aspettarsi un budget per il 2024 “complesso”, con deficit fiscali più elevati del previsto, una crescita più debole del previsto e rendimenti tra Btp e Bund tedeschi a dieci anni pronti a superare quota 200-210 entro la fine del 2023. Finché la crescita è buona, la credibilità dell’Italia può resistere anche ai tic complottisti del governo. Ma se, come sembra voler dire Giorgetti, la crescita dell’Italia dovesse essere in forte discesa, l’evocazione dei complottismi diventerebbe non un elemento folcloristico ma al contrario un elemento utile per notare che di fronte ai problemi reali il governo non ha altre carte da giocarsi se non quelle del vittimismo (e anche invocare maggiore flessibilità dall’Europa mentre non si riescono a spendere i 200 miliardi di euro stanziati dall’Europa via   Pnrr non pare essere una strategia vincente). Giorgetti glielo sta dicendo in tutti i modi: cara Meloni, perdonami, ma con quelle labbra non puoi più dire tutto quello che vuoi.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.