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La ricorrenza

Italia, patria di anniversari da celebrare che s'è scordata il 20 settembre

Giovanni Belardelli

L’oblio caduto sul ricordo della presa di Porta Pia. Oggi quella data non la ricorda sostanzialmente nessuno, forse perché sono altre le date su cui non smettiamo di dividerci

In un paese che ricorda di continuo, a volte sembra addirittura che insegua, ricorrenze e anniversari, c’è una data che è invece caduta da tempo nell’oblio: il 20 settembre. Se si eccettua la sparuta pattuglia dei radicali che in quel giorno, ogni anno, si radunano a Porta Pia, la presa di Roma non è più rievocata da nessuno. Questa può anche essere considerata una cosa naturale, visto che da tempo nessuno mette più in dubbio la positività della fine del potere temporale del Papa sancita dalla “conquista” dell’Urbe; la stessa Chiesa ha riconosciuto che grazie al 20 settembre, “sollevata dal potere temporale, ha potuto […] esplicare in modo più agile la sua missione di salvezza fra gli uomini” (così il cardinale Dell’Acqua nel 1970).

Eppure quella data merita la nostra attenzione: festeggiata per decenni e poi dimenticata, racchiude elementi importanti della nostra storia, di uno stato nazionale formatosi di fatto contro la Chiesa cattolica. Da questa circostanza derivò, per un paese la cui popolazione era nella grandissima maggioranza di fede cattolica, un elemento di debolezza in termini di accentuata estraneità dei ceti popolari. Comunque, nonostante quel che ha sostenuto qualche interpretazione storiografica di tipo recriminatorio, all’epoca altre soluzioni – se si voleva far nascere uno stato nazionale unitario – non esistevano, a causa della presenza dello stato pontificio bene al centro della penisola ma anche a causa del fatto che la Chiesa era attestata su posizioni di rifiuto e di condanna del mondo moderno. La presa di Roma era dunque una scelta inevitabile per la classe dirigente liberale; che però – ecco il punto – scegliendo di festeggiare il 20 settembre finiva col gettare benzina sul fuoco, cioè con l’alimentare ulteriormente l’ostilità della Chiesa e dei cattolici. E’ vero infatti che la festa ufficiale del nuovo Regno d’Italia era la festa dello Statuto, nella prima domenica di giugno; ma quella era in fondo, e tale rimase, una festa limitata all’Italia ufficiale. Il 20 settembre invece divenne rapidamente una data molto sentita da tutta una parte del paese, assumendo per molti il carattere della “vera” festa nazionale, già prima che nel 1895 divenisse per legge giorno festivo. 

Questo è ben testimoniato da quel che Gramsci scriveva nel 1916 sull’Avanti!: “E’ nei piccoli paesi che il XX settembre ha avuto maggior fortuna e si è radicato profondamente. […] E la sera l’immancabile corteo, con le fiaccole di carta, con le lanternine veneziane, preceduto dalla banda musicale del luogo, e accompagnato dalle fatidiche grida al leone di Caprera [Garibaldi] e al gran morto di Staglieno [Mazzini]”. Gramsci prendeva ormai le distanze da quelle dimostrazioni, per il loro accentuato carattere anticlericale e massonico. Fatto sta che quell’anticlericalismo caratterizzò, tra la presa di Porta Pia e lo scoppio della guerra mondiale, la cultura di una parte importante della classe dirigente liberale. Sul finire del secolo il famoso Ballo Excelsior esaltava la contrapposizione tra il progresso tecnico-scientifico e l’oscurantismo clericale. Ma già prima, nel suo celebre inno “A Satana”, Carducci aveva celebrato nel signore dei demoni il simbolo del progresso umano, facendone il nuovo dio che aveva finalmente vinto “il Geova / De i sacerdoti”. 

Ogni anno, puntualmente, quella festa dai toni anticlericali evocava di nuovo la frattura originaria dalla quale era nato il Regno d’Italia, provocando proteste e reazioni da parte cattolica in grandi e piccoli centri. Fu particolarmente significativo (ne parlò anche il Times di Londra) il violento scontro verbale che si verificò nel 1910 tra l’allora sindaco di Roma Ernesto Nathan e il pontefice Pio X. Nathan, con toni molto forti, condannava la Chiesa “fortilizio del dogma”, “regno dell’ignoranza” e così via, provocando da parte della stampa cattolica una reazione altrettanto polemica, non priva di toni antigiudaici (Nathan oltre che massone era ebreo). Ma le celebrazioni del 20 settembre erano anche l’occasione per mettere in scena – letteralmente – un’altra frattura importante che caratterizzava il giovane stato, quella che vedeva contrapporsi a un’Italia ufficiale – che in quel giorno aveva le sue manifestazioni e i suoi oratori – un’Italia di opposizione, con iniziative e cortei alternativi organizzati dalle associazioni democratiche e radicali, alle quali a volte partecipavano anche i socialisti.

Dopo la prima guerra mondiale il 20 settembre veniva ormai festeggiato in tono minore fino a che il fascismo – siglati i Patti del Laterano – cancellò quella giornata festiva sostituendola con l’11 febbraio, che celebrava la Conciliazione tra stato e Chiesa. Il Vaticano avrebbe anche voluto che si cancellassero dalla toponomastica di paesi e città le tante vie intitolate al 20 settembre (anzi XX settembre come si scriveva usualmente), ma Mussolini – forse non interamente dimentico del suo anticlericalismo socialista – non accettò. Nell’Italia repubblicana, quanto meno nei decenni della prima Repubblica, la ricorrenza – a parte i citati radicali, che non hanno mai smesso di farlo – venne celebrata tutt’al più da qualche esponente politico di area laica: Saragat, Spadolini, Craxi. Oggi non la ricorda sostanzialmente nessuno, ma perché sono semmai altre le date su cui non smettiamo di dividerci.

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