La presidente del consiglio in Ungheria

Meloni a Budapest coltiva il progetto di separare Orbán da Putin e guadagnare altri crediti

Simone Canettieri

La premier partecipa al summit sulla famiglia e sulla natalità in Ungheria con un discorso di 25 minuti in inglese, mentre si occupa del gruppo dei conservatori di cui è presidente e di allontanare il padrone di casa dalle posizioni filorusse

Giorgia Meloni lo ripete anche qui: la famiglia prima di tutto. Ma non c’entrano la sorella, il cognato e l’intreccio di sangue e potere della Fiamma magica. Nella sala romanica del museo delle Belle Arti di Budapest, dove si celebra il summit sulla demografia, la premier annuncia “di voler combattere per difendere la famiglia e Dio”. Il “caro amico” Viktor Orbán applaude. Tuttavia Meloni è qui anche per un’altra famiglia che guida: quella dei conservatori. Operazione “Danubio blu”. 

La notizia dunque non è solo il ritorno – ammesso che le abbia mai accantonate  – a  posizioni da “Giorgia spagnola versione Vox” o, prima ancora, a quella del celebre tormentone: donna, madre, cristiana (un simpatico collega italo-ungherese ci traduce il tormentone su un biglietto: Giorgia vagyok, nő vagyok, anya, keresztény vagyok). 

Meloni parlando 25 minuti in inglese cita la rivoluzione del ‘56 (gli amati ragazzi di Buda) “contro un potere straniero che cercava di distruggere le basi dell’identità delle persone”. E cioè l’allora Unione sovietica. “Nessuna propaganda di oggi può strappare quelle pagine dalla storia. Lo vediamo anche in Ucraina, non possiamo accettare queste cose”. Parole che dette davanti all’amico europeo di Vladimir Putin hanno un certo peso. Ma è ancora più interessante la nota diramata da Palazzo Chigi dopo il bilaterale tra lei e Orbán nell’ex convento dei Carmelitani, prima di partire per Roma. “I due hanno condannato l’aggressione russa e auspicato una pace giusta. Hanno ricordato il sostegno fornito finora a Kyiv e hanno sottolineato l’importanza di mantenere la forte unità degli stati membri dell’Ue in un sostegno ampio e multidimensionale all’Ucraina”. E’ questa l’operazione che sta sullo sfondo: l’ingresso di Orbán e del suo partito Fidesz nei Conservatori passa da una netta abiura delle note simpatie filorusse dell’autocrate (cementate anche da rapporti commerciali con Mosca, a partire dal gas). Ecco perché con una nota insolita – che almeno fino a sera non viene diffusa dal governo ungherese – Meloni si fa carico e garante delle parole dell’altro premier. E’ un fatto inedito. Segno che forse un percorso è iniziato, e non solo perché la presidente Katalin Novák lo scorso mese è andata da Zelensky. “E’ un cammino lungo che avrà un’accelerazione o una frenata dopo le elezioni in Polonia, ma noi sull’Ucraina non cambieremo mai idea”, raccontano dalla delegazione al seguito della premier. C’è anche Raffaele Fitto, da anni tessitore di relazioni a Bruxelles per Ecr, il gruppo dei conservatori. “Ma io non parlo nemmeno di Pnrr, figuriamoci del resto”, si schernisce il ministro prima di entrare per un rapido pranzo al ristorante Gulden dove spunta anche il gulasch (nonostante il caldo). Il forum è appena terminato.

E qui i leader – ci sono anche i presidenti di Bulgaria e Serbia con i rappresentanti di cinque confessioni religiose diverse – discutono dell’evento appena terminato. E aperto in mattinata dallo psicologo canadese Jordan B. Peterson così: “Non è sano se in famiglia i bambini frequentano omosessuali e divorziati”. L’ex senatore Simone Pillon in confronto passerebbe da riformista. D’altronde di cosa stupirsi? E’ il giorno Dio, patria e famiglia come sintetizza senza sforzi Meloni nel suo intervento. E poi si ragiona sulla crisi demografica sul perché “l’Europa sia sotto il tasso di sostituzione” ovvero quei “famosi due figli per donna che consentono di tenere costante il livello della popolazione”, dice ancora la premier, convinta che “gli immigrati non siano la soluzione alla denatalità”. E’ tutto un elogio dell’identità e delle radici a chilometro zero. La polemica del giorno la riporterebbe alle critiche di Matteo Salvini sulla gestione degli sbarchi, l’emergenza Lampedusa, ma oggi è il suo family day. Deve allargare il gruppo dei conservatori il più possibile per non rimanere single a Bruxelles.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.