la conta di fidesz

Cosa deve fare Orbán per entrare nei Conservatori europei

Micol Flammini

Il premier ungherese in Ue è diventato ininfluente, vuole far parte del gruppo di Ecr, ma per essere ammesso deve rinuciare alla sua vicinanza al Cremlino. Qualche segnale, a cominciare dal nuovo ambasciatore ucraino a Budapest che arriva dalla guerra

Arrivare alle elezioni europee senza una casa potrebbe rendere un partito o  corteggiato o  ininfluente. Quando Viktor Orbán con i suoi tredici eurodeputati ha lasciato il Partito popolare europeo (Ppe) prima di esserne cacciato, sperava di diventare il centro di una nuova alleanza tutta a destra, il prezioso fautore di una  coalizione cucita attorno a lui, alla sua idea-non idea di Ue. Invece lui, con i suoi tredici, più che corteggiato, è rimasto ininfluente.  Adesso è Fidesz, il partito di Orbán, a cercare una casa per non trascorrere dopo le elezioni europee del 2024 altri cinque anni in attesa,  e sembra aver  fatto la sua scelta: vuole stare con i conservatori di Ecr, il partito di cui fanno parte, tra gli altri, Fratelli d’Italia e il PiS, il partito che governa la Polonia. Ci sono elementi in comune e segnali di avvicinamento – Giorgia Meloni per esempio parteciperà al summit sulla demografia a Budapest la prossima settimana  – ma rimangono anche differenze profonde. L’idea iniziale di Orbán, quando la sua coesistenza nel Ppe era ormai inaccettabile, era di unire Ecr e Identità e democrazia (Id), ma i due partiti sono abitati da sensibilità diverse su vari argomenti,  uno in particolare: la Russia.

 

Di Id fanno parte la Lega, che è in un periodo di dissimulazione delle sue simpatie putiniane, ma anche il Rassemblement national di Marine Le Pen e l’AfD tedesca che invece non le dissimulano affatto. Se prima della seconda invasione dell’Ucraina sembrava ammissibile  cercare dei punti in comune tra Id ed Ecr, dal 24 febbraio del 2022 è diventato inconcepibile. Per il suo rapporto con Mosca, la tendenza a puntare i piedi sulle sanzioni alla Russia, a votare contro l’invio di aiuti a Kyiv, per le sparate propagandistiche sulla Grande Ungheria che sogna di recuperare la regione della Transcarpazia, e per i rapporti nel settore dell’energia, sembra chiaro che Viktor Orbán starebbe meglio con Identità e democrazia. Ma Fidesz a Bruxelles  bussa con insistenza alla porta di Ecr. Balázs Orbán, direttore politico del premier ungherese, ha detto a Politico che l’approdo tra i conservatori è quello naturale per Fidesz, tuttavia il partito ungherese non ha smesso di sperare in una grande unione delle destre. Ecr però ha fatto della difesa dell’Ucraina non soltanto uno dei suoi tratti distintivi, ma anche uno dei punti di comunicabilità con i popolari, tanto che dentro al Ppe c’è chi vagheggia un’unione con Ecr (la presenza di Fidesz complicherebbe ancora di più le cose). I conservatori, con i polacchi del PiS in testa, hanno fatto delle loro posizioni antirusse e della  promozione dell’aiuto a Kyiv come vitale per l’intera Ue i tratti distintivi del  loro partito, facendo passare in secondo piano i punti di attrito dentro all’Ue, almeno a livello superficiale. Quindi, per chiunque  voglia portare i suoi eurodeputati dentro a Ecr, non sono permessi sgarri su questioni come l’atlantismo, l’antiputinismo o la difesa di Kyiv. Orbán, il direttore politico e non il premier, nell’intervista dice anche che l’Ungheria potrebbe bloccare i prossimi passi dell’Ucraina verso l’adesione all’Ue a causa del trattamento riservato alla minoranza ungherese: “Fino a quando questo problema non sarà risolto,  non saremo in grado di sostenere il processo di allargamento dell’Ue verso l’Ucraina. Questa è una posizione solida come una roccia”. Nella regione della Transcarpazia, nell’Ucraina occidentale, vive una comunità di origine ungherese, che parla ungherese, guarda la televisione ungherese, a volte vive anche secondo il fuso di Budapest e non secondo quello di Kyiv. Il premier Orbán  ha accusato l’Ucraina di discriminare questi cittadini e nella regione ci sono stati episodi di tensione. 

 

Le  posizioni in difesa della Russia hanno contribuito a isolare Orbán dentro all’Ue, a rovinare il rapporto tra Fidesz e il PiS. Ma soprattutto le sue posizioni sembrano inconciliabili con Ecr. Se davvero Fidesz vuole che i conservatori gli aprano la porta qualcosa deve cambiare: il suo rapporto con Mosca per primo. E’ un cambiamento strumentale, ma indispensabile, anche per permettere agli alleati di accoglierlo. In agosto, per la prima volta, la presidente ungherese Katalin Novák è andata a Kyiv, ha incontrato Zelensky, i due leader hanno stabilito l’apertura di un canale di comunicazione presidenziale, Novák ha assicurato che l’Ungheria si unisce alla formula di pace del presidente ucraino e che ci saranno progressi sulle minoranze. Kyiv, dopo un periodo di assenza, ha nominato il nuovo ambasciatore ucraino in Ungheria e la scelta è stata puntuale: è stato nominato Sándor Fegyir, ucraino di famiglia ungherese, nato a Uzhorod, città principale della Transcarpazia, quindi esponente di quella minoranza che Orbán dice di dover difendere. Fegyir però non la pensa come Orbán, è un sociologo, professore universitario, che nell’aprile dello scorso anno si è arruolato nell’esercito ucraino nel battaglione della Transcarpazia e ha combattuto vicino a Kharkiv. Sa cos’è la guerra, sa cos’è la resistenza, sa come sono i rapporti tra ucraini e russi. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.