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L'editoriale dell'elefantino

La rivolta sociale che non c'è. Ecco perché non siamo la Francia

Giuliano Ferrara

A differenza di Parigi, da noi i poveri restano a casa pure se gli tolgono il Reddito di cittadinanza. Zero proteste dopo la fine del sussidio

A parte le storie penose o atroci raccontate ai tg da persone colpite a tradimento dal taglio del Reddito di cittadinanza, vicende solitarie e liminari o familiari, tutte fonti di necessaria compassione in chi ascolta e vede; a parte rilievi di rigore di enti assistenziali e caritatevoli sui rischi di povertà di ritorno per un sussidio che viene di brutto a mancare in aree economicamente e socialmente depresse; a parte poche decine di manifestanti riuniti dall’ineffabile e battagliera schiera di Potere al popolo: a parte tutto questo non c’è aria di rivolta sociale dopo che molte decine di migliaia di famiglie, in specie a Napoli e nel centro-sud, sono state avvisate della fine draconiana del sussidio. Gira per l’aria una certa ansia, in particolare negli ambienti di governo, e i media in vario modo pucciano il biscotto nel dramma, ma il dramma non si manifesta come si sarebbe potuto pensare. Il primo appuntamento di protesta annunciato dalla Cgil è per ottobre, sa di mestieraccio, di atto dovuto prima della Finanziaria. Un po’ poco, un po’ tardi. L’estate militante del Pd e il descamisadismo con pochette di Conte e dei suoi non fanno notizia perché non prendono corpo nonostante l’occasione ghiotta. Che cosa voglia dire tutto questo non si capisce bene, e può essere che alla prima occasione utile le cose si rigirino nel senso della rivolta sociale, per adesso non è il caso.

Si parla delle pensioni, del fisco, dei salari della casta, delle diseguaglianze, di altri bonus in itinere, delle sorti tra magnifiche e periclitanti della produzione di ricchezza via pil, di tutto ma non dell’insurrezione di coscienze e corpi, famiglie e giovani, in nome del Reddito negato. La Francia prese fuoco per qualche centesimo di aumento ecoansiogeno della tassa sulla benzina, le periferie, il ceto medio lontano dall’affluente bonanza parigina, i barbari dei fuochi e dei presidi agli incroci stradali, con i loro gilet gialli, i loro Suv, i loro simboli di lotta e autoriconoscimento, espressero una protesta violenta che travolse il potere, occupò di sabato in sabato la capitale, e lo obbligò a varie retromarce e a pagare con il debito pubblico il debito sociale inevaso, e questo a colpi di cortei, cazzotti sul muso, bombe molotov, tecniche di guerriglia e di sopraffazione della polizia, a furia di incendi di municipi e stalking alle residenze dei parlamentari e dei ministri. Qui un pubblico popolare vasto e definanziato con un sms dopo la grande illusione grillina del 2018, dopo la campagna sulla dignità e l’assistenza pubblica universale e l’avvio atteso ma mancato al lavoro, dopo una presa in carico rivelatasi importante negli anni della pandemia, una roba che sembrava eternizzata come quasi tutto ciò che è a debito “buono” o cattivo in questo paese, bè, questo pubblico non si fa vedere, sembra che non ci sia, pratica una tollerante attesa, evita perfino di protestare in forme visibili e imbarazzanti per l’ordine pubblico, pure allertato e messo sull’avviso con parole allarmate dalle autorità. Eppure in Campania si videro all’opera i disoccupati organizzati, i forconi, in altri tempi la rivolta o la sua pantomima contro lo stato assente o che si assenta erano ordinaria pratica e straordinaria follia.

Forse, a parte casi specifici, il segreto dalla pace popolare nonostante tutto, e prescindiamo dal generale Agosto, è nella struttura e nella vera funzione sociale del Reddito di cittadinanza, che evidentemente era o è, per come fu concepito dai grillini e per quel che ne resta, l’integratore benvenuto e mal gestito di una economia familiare e in nero, un collante ambiguo e percepito come strutturalmente temporaneo nella foresta assistenziale, e nessuno credette all’annuncio dal balcone, la fine della povertà, prima di tutto i poveri.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.