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tensioni

Tra Pnrr, fondi di coesione e rdc, il governo delle autonomie ha un problema con regioni e comuni

Ruggiero Montenegro

I governatori lamentano una questione di metodo sul taglio di circa 16 miliardi destinati alle opere del Recovery. Domani si riunisce la conferenza delle Regioni per prendere una posizione comune. Il rischio è che i lavori già avviati vengano fermati. Un problema sollevato anche dai sindaci

Il monito al governo, non il primo e probabilmente nemmeno l'ultimo, l’ha lanciato ieri Massimiliano Fedriga dopo che il governo ha annunciato un taglio da circa 16 miliardi sul Pnrr sulle opere realizzate dagli Enti locali. “Le modifiche, un documento da 168 pagine, ci sono state trasmesse solo due giorni fa", lamentava il governatore del Friuli-Venezia Giulia. Una questione di metodo, ancor di prima che di merito. E’ un po’ la stessa criticità sollevata dai sindaci, e non solo da quelli del centrosinistra, rispetto allo stesso Recovery e, in queste ore, anche in relazione al Reddito di cittadinanza.

I fronti sono vari, rischiano di sollevare tensioni nella maggioranza e mettono in luce il rapporto - e i problemi - che Palazzo Chigi ha con i territori. Una sorta di paradosso se si considera che questo governo dovrebbe essere quello dell’Autonomia e invece pare non riuscire a dismettere quella tendenza accentratrice che comuni e regioni denunciano in maniera pressoché bipartisan. E non si può non notare un certo attivismo che riguarda proprio gli amministratori più vicini a questo governo.

 

Così, diventa “prevedibile che ci sia un po’ di tensione”, spiegava sempre Fedriga intervistato ieri da Repubblica. Si riferiva alla riunione che precederà domani mattina la Conferenza delle regioni. “Il problema non è il taglio in sé. Ma cosa tagli e come ti coordini rispetto a chi sta portando avanti le opere”, ha aggiunto il presidente della Conferenza. Non si fida, e con lui i colleghi governatori, della bozza del governo in base alla quale saranno utilizzati, per i progetti non più finanziati, le risorse del Fondo di sviluppo e coesione. Le misure in questione riguardano per lo più "progetti in essere che sono confluiti nel Pnrr e che in sede di attuazione e rendicontazione hanno scontato rilevanti criticità", si legge nella proposta di revisione prodotta dall'esecutivo. Che evidemente non ha convinto chi lavora sui territori.

Il timore è che i lavori già iniziati possano arenarsi, rimanere in sospeso in cerca di risorse e interlocutori. E si tratta di “temi cruciali per chi amministra”, per usare le parole di  Giovanni Toti – altro esponente di centrodestra che non nasconde le sue perplessità.

Le parole dei presidenti di regione non sono però le uniche e seguono infatti quelle che arrivano dalle città. “Chiediamo garanzie immediate”, ripete da giorni il  presidente dell’Anci – e primo cittadino di Bari – Antonio Decaro, raccogliendo tutti i malumori degli Enti locali. Dal loro punto di vista, le opere stanno andando avanti, rivendicano efficienza e tempismo nella spesa, contestano insomma tutte “le criticità” che Palazzo Chigi addebita loro. Un malcontento che va da nord a sud - dal Veneto alla Puglia dove le cronache locali parlano di "rivolta" dei primi cittadini.  E che diventa ancora più difficile da digerire dinanzi a quello che sta accadendo intorno al Reddito di cittadinanza. Nell’sms con cui l’Inps ha comunicato la fine del sussidio infatti c’è scritto anche “in attesa di eventuale presa in carico dei servizi sociali”. Tuttavia, si tratta di un meccanismo non immediato, che passa per i centri per l’impiego e sconta i ritardi e le carenze comunicative della piattaforma Inps. Con il risultato, per i comuni, di dover far fronte a una questione delicatissima, senza essere in possesso degli strumenti per farlo. Dopo il Pnrr e i fondi di sviluppo, un’altra grana per il governo Meloni.

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