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"Ecco il mio nuovo Tg1. Basta panini e pastone, voglio domande". Il piano del direttore Chiocci

Carmelo Caruso

Il nuovo direttore presenta il piano alla redazione: "Uscite, crediamo nelle notizie nostre. Meglio un collegamento in meno ma un servizio più puntuale"

Roma. Direttore Gian Marco Chiocci, sembravi Al Pacino in Ogni maledetta domenica. Hai le basette pure uguali. Doveva presentare il suo piano editoriale, “ecco il mio nuovo Tg1”, ma il direttorone-allenatore ne ha fatto un discorso, intenso, come nel   film di Oliver Stone: “Chi ha voglia troverà spazio, chi merita andrà avanti. Il Tg1 è, e sarà solo di chi ci guarda”. Vi diciamo solo che, in Cda Rai, la presidente Marinella Soldi, che è più schizzinosa di Alain Elkann sul treno Roma-Foggia, ha commentato: “Mi piace il piano. Bravo”. Chiocci Stone promette allo spettatore una vita al ristorante. Basta sbobba! E basta con i giornalisti reggi microfono: “Fate domande”. E’ convinto che c’è giornalismo oltre il “pastone” e il “panino”. Bicarbonato Rai, addio!


Ecco la carezza al montatore Rai del direttore del Tg1, Chiocci Stone: “Sono professionisti, il vanto della Rai”. La sua idea di giornalismo: “Meglio prendersi un giorno in più, e fare un collegamento in meno, per confezionare un servizio più incisivo e puntuale. Voglio vedervi uscire dalla redazione, il più possibile. E sorridete. Non perdete tempo a fare la guerra al collega. Non è lui il vostro nemico”. Questa è invece la frase alla Tony D’Amato, l’allenatore che ogni maledetta domenica incitava i suoi Sharks: “Si gioca tutti insieme, si fa squadra. In questo mese la porta del direttore è stata sempre aperta, e aperta continuerà a restare”. La chiamano la stanza “ambulatorio”. Li ha ricevuti uno per uno: “Dimmi, confidati”. Ed era dunque lui, Chiocci, il lanzichenecco, il pericoloso direttore “esterno” con gli stivali di gomma neri, addirittura il “cronista dei misteri”? E’ chiaro che un piano editoriale, tanto più di un Tg Rai, che deve tenere conto del minutaggio, dell’Osservatorio, sia, per forza di cose, il manifesto utopia, anzi, per dirla alla Montale, il “ciò che siamo e ciò che non vogliamo”. Ma è vero pure che si viene da tempi in cui i direttori lasciano, e riprendono, direzioni anticipando piaghe bibliche: dopo di me il diluvio. Se ne vanno ricordando ai colleghi tutte le volte che li hanno difesi: gli chiedono insomma il conto. Che male c’è a scriverlo? Ogni redazione vorrebbe ascoltare quanto diceva, ieri, Chiocci, alla redazione, sui buchi giornalistici (“da evitare, ma senza dare la colpa a nessuno”) o, ancora, sulla perseveranza (“se crediamo in una notizia, dobbiamo insistere. Crediamoci”). Chiocci se legge il Financial Times o Proust non è così vanitoso da farlo sapere. Se ne ha una copia in mano, la metterebbe dentro la tasca della giacca per non ostentarla. Lo ha detto sempre lui ai giocatori, giornalisti del Tg1: “Si può andare oltre i pastoni indigesti? Si può pensare a un’alternativa rispetto al panino, con i vocali di maggioranza e opposizione? Io dico di sì”. I pastoni e i panini sono le pietanze politiche, generi giornalistici, che i Tg Rai ci somministrano da una vita (Panino: prima parla uno del governo, poi uno dell’opposizione e poi uno della maggioranza). Pastone e Panino sono come il riso bianco e la cotoletta di pollo con un filo d’olio, cibo che nutre ma non delizia. Era sempre Chiocci a chiedere: “Si possono fare domande ai parlamentari anziché ricevere video preconfezionati? Si possono spulciare le proposte di legge, le interrogazioni, i lavori delle commissioni? Ebbene, io credo che la sfida sia alla nostra portata”. Prima di arrivare alla guida del Tg1, voluto da Giorgia Meloni, ma con la strizzatina d’occhio del Pd (che lo stima, a partire da Schlein) Chiocci è stato direttore dell’Adnkronos, del Tempo, e prima ancora giornalista di inchiesta. Ha armadi di scoop. Ha cercato le notizie come si fa da  sempre: si cammina sul filo. Il suo è il giornalismo dell’andare a vedere, quello dell’inviato con la camicia sempre stazzonata, al posto dell’inviato di ultima generazione che, dice un gigante del mestiere, è colui che fa “l’inviato dalla scrivania”. Quando Chiocci è entrato in redazione, al Tg1, un mese fa, come tutti i direttori che lo hanno preceduto, si è accorto che la vicedirettrice Costanza Crescimbeni, prima ancora di essere di sinistra, era brava. L’ha riconfermata tanto che ora è lei, Crescimbeni, a precisare: “Sono quota Chiocci”. E ovviamente ne ha nominati altri, come chiedevano i partiti che sul Tg1 devono avere il loro spioncino. C’è il vice quota M5s, Senio Bonini, la doppia quota Pd, Crescimbeni-Anzaldo, quella Lega (Primozich-Graziadei), quella Forza Italia (Grieco) e quella FdI (Boccia). E’ troppo presto per dire che Tg1 sarà, ma Chiocci va applaudito anche solo per aver sostituito la parola pop con popolare (“i servizi economici devono essere alla portata di tutti, diciamo popolare, ma non pop). La cronaca la vuole “precisa, puntuale, mai scandalistica. Pensata”. E’ atlantista: “Come ammiraglia del servizio pubblico, come presidio del giornalismo indipendente, non possiamo non essere in Ucraina”. Si alza presto il mattino ma usa la prima persona plurale: “Il buon giornale si vede dal mattino e stiamo ragionando sulla possibilità di tornare al Tg delle ore sette”. In Cda anche il consigliere quota dipendenti Rai, Riccardo Laganà, si è complimentato: “E’ un piano concreto”. Il discorso, il piano editoriale di Chiocci, fragoroso, e nuovo, gli sarà inevitabilmente esibito alla prima promessa disattesa. Da oggi sarà Chiocci la misura di Chiocci.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio