Foto Ansa 

L'inchiesta

Divagazioni sul caso La Russa Jr., tra familismo amorale e astrazioni ideologiche

Andrea Minuz

Nel paese dove non esistono individui, ma solo genitori e figli, il caso di Apache è un fiume in piena di trame e sottotrame, inesauribile nutrimento dell’estate italiana

E’ un fiume in piena di trame e sottotrame questo caso La Russa jr, inesauribile nutrimento dell’estate italiana. Dopo i reportage sul campo e le cronache dall’Apophis Club (membership only), “un tempietto pagano di 180 mq. feudo dei La Russa Bros” (Repubblica), “un locale di superlusso frequentato da Dj, influencer e perfino rapper americani” (Il Messaggero), è il momento dei ritratti di Tommy Gilardoni, secondo indagato, amico di Lorenzo Apache (solo nomi incredibili in questa storia da “Nuovi mostri”, di quelli che a un bravo sceneggiatore vengono in mente due o tre volte nella vita). Catalogato prima come fantomatico “Dj”, Tommy Gilardoni è ora “imprenditore comasco e playboy”, specializzato un tempo in open-barbecue nella Val D’Intelvi, quindi rampollo della Milano che manda i figli a Londra, dove apre due società, “in zona Hyde Park”, con “colleghi in prevalenza maschi”, ci tiene a specificare il Corriere, sentendo un po’ puzza di patriarcato. Poi, a cascata, altre informazioni decisive: “lusso sfrenato, supermodelle, Parigi, Formentera, piscine miliardarie” (ma com’è una “piscina miliardaria”?).

Pare sia anche grande amico di Rocco, figlio di Madonna e Guy Ritchie, arrestato tempo fa per un paio di canne. Genitori & figli è l’algoritmo implacabile della nostra politica sin dall’alba della Prima Repubblica. Un grande romanzo italiano che si srotola sempre uguale dal caso Montesi in su, con la sua carrellata di memorabilia (il Porche Cayenne di Mastella junior, il Rolex del figlio di Lupi, la laurea albanese del Trota, il video con sbrocco di Grillo che batte i pugni sul tavolo in difesa del figlio, fino alla “Sim” di Leonardo Apache, segno anche di un’inevitabile progressione tecnologica delle trame). Funziona naturalmente anche all’inverso, con le più classiche colpe dei padri che s’abbattono sui figli: Di Maio che voleva le dimissioni di Renzi per la bancarotta fraudolenta di Tiziano Renzi, il Pd che chiedeva le dimissioni di Di Maio per i capannoni abusivi dell’impresa paterna, Saviano che raccoglieva appelli contro Maria Elena Boschi per il padre indagato nell’inchiesta “Banca Etruria”, e potremmo andare avanti a lungo. Pare davvero che la verità giudiziaria arrivi poi come un corollario, un’appendice trascurabile. Comunque vadano a finire, sempre queste storie riflettono una società arcaica dove non esistono individui ma genitori, figli, affiliati, cerchi magici. I genitori parlano per i figli anche quando sono ultra-maggiorenni, facendo più che altro anche molti danni. Il micidiale “l’ho interrogato io: non ha commesso reati”, di La Russa padre, come appunto direbbe un capo-tribù più che un Presidente del Senato. Il non meno micidiale “mio figlio è sempre circondato da bellissime ragazze” (quindi non può essere stato lui) di Massimo Gilardoni, padre di Tommy. Ma l’insofferenza per i fatti e le responsabilità individuali vale anche per l’indignazione femminista. Leonardo Apache è un “simbolo”. E in quanto simbolo è già colpevole. Colpevole, con suo padre, di esprimere “un sistema economico e di potere che replica, alimenta e legittima giorno dopo giorno la cultura della violenza” (come dice il collettivo “Non una di meno”).

E naturalmente colpevole di tutti i tipi di patriarcato possibile: di “patriarcato inconsapevole” (La Stampa), di “destra patriarcale” (Schlein), di “politiche patriarcali razziste e fasciste” (Non una di meno). Si dirà che le scorribande dei figli di politici al governo offrono sempre ottimo materiale all’opposizione in ogni paese. Ma intorno al caso La Russa Jr si agitano anche i nostri soliti fantasmi, dal familismo amorale alla fascinazione per fumisterie e astrazioni ideologiche. Entrambi gli schieramenti sembrano infischiarsene dei fatti che, come al solito, non appassionano granché. O le solite solfe giustificazioniste, mio figlio non può essere stato, signora mia, casomai le cattive amicizie. O le solite accuse vaghe e fumosissime a sistemi di potere, strutture e sovrastrutture simboliche, risalendo sempre all’alba di tutte le colpe, il capitale, il profitto, il pater familias. Si parte da premesse opposte, si arriva allo stesso risultato. Che qui si esiste come parte di una famiglia, o come pedine di “sistemi”, mai però come individui.

Di più su questi argomenti: