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Se i deputati si considerano essi stessi per primi dei parassiti, chi siamo noi per contraddirli?

Salvatore Merlo

Presi dallo sdegno per se stessi, persuasi d'essere dei mangiapane a tradimento, i deputati non difendono più il loro ruolo e diventa difficile farlo al loro posto

Prima approvano, poi se ne vergognano. Nell’Ufficio di presidenza della Camera dei deputati, i partiti hanno prima approvato un aumento dell’indennità parlamentare per i capigruppo di Montecitorio pari a poco più di mille euro, e poi  però se ne sono  dissociati per viltà.  Pensano che sia giusto corrispondere una modesta gratifica in denaro a chi tra loro assume in Parlamento impegni più gravosi di lavoro, ma poiché non si capisce bene se siano stati appena cotti lessi, o in tegame a fuoco lento, col latte, come il baccalà alla vicentina, alla fine non hanno il coraggio di sostenere le buone ragioni della decisione.  Evidentemente persuasi d’essere dei mangiapane a tradimento, i nostri rappresentanti negli ultimi anni si sono tagliati prima lo stipendio, poi le pensioni e infine si sono tagliati essi stessi, non metaforicamente,  riducendosi di numero a circa la metà. Sicché quando giovedì s’è venuto a sapere che avevano previsto un piccolo aumento per equiparare i compensi dei capigruppo a quelli dei presidenti di commissione, non appena uscita la notizia in agenzia, costoro sono stati tutti travolti dal panico. Dallo sdegno per se stessi, verrebbe da dire. E  bisogna allora proprio immaginarsi questi onorevoli cuor di leone che, presasi la testa fra le mani e superata la sorpresa che  procura loro ogni volta il fatto che pesi tanto poco, iniziano freneticamente a dettare dichiarazioni di sconcerto contro la loro stessa decisione, spiegano che mai accetteranno quel denaro che pure si sono attribuiti, precisano che comunque si tratta di un aumento a costo zero ci mancherebbe, fanno addirittura sapere che essi poverini erano presenti ma si sono astenuti (maestra, il cane mi ha mangiato i compiti). La crisi della politica, come la Nottola di Minerva, è un volatile che si alza sul far della sera, la si vede solo quando il ragionevole è sostituito dall’ardore eccitante della stupidità. Insomma giovedì, per diverse ore, abbiamo visto questi deputati accumulare parole su parole la cui logica era impenetrabile. Finché giunti al termine di questo balletto, al quale tutto arrideva, tranne  un senso, ci siamo posti una terrificante domanda: se questi  si vergognano dei loro stipendi, se non sanno difendere le loro scelte, se pensano di essere all’incirca degli inutili saprofiti, ecco, giunti loro per primi a  un tale livello di autosfiducia, chi siamo noi per contraddirli?

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.