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L'editoriale del direttore

Salvini e la doppia competizione con Meloni. Una strada porta alla crescita, l'altra all'irrilevanza

Claudio Cerasa

Influencer o leader? Con Le Pen o con l’Europa? Il leader leghista da una parte prova a portare il partito lontano dalla stagione del Papeete, dall'altra cerca di proporsi sulla scena pubblica come il custode unico del sovranismo smarrito

Quando una maggioranza solida si ritrova di fronte un’opposizione debole capita spesso che l’opposizione più efficace alla fine nasca più dentro la maggioranza che dentro l’opposizione. Con il governo Meloni la situazione oggi è più o meno questa. E otto mesi dopo la nascita dell’esecutivo, si può dire che l’opposizione più insidiosa incontrata finora dalla premier sulla sua strada sia stata quella costruita più dalla Lega di Matteo Salvini che dal Pd di Elly Schlein.

Dall’inizio dell’esperienza di governo, il leader dell’opposizione della maggioranza, Matteo Salvini, ha cercato un modo per reinventare il suo ruolo e proiettare la traiettoria della Lega verso un orizzonte distante dalla stagione del Papeete. Salvini ha investito forte nel suo ministero (alle Infrastrutture sono molto impegnati sul fronte del Pnrr, anche se la percentuale di spesa sostenuta sullo stanziamento totale si aggira attorno al 12 per cento) e sul tema delle grandi opere (come il Ponte sullo Stretto, che ha ricevuto apprezzamenti anche da osservatori distanti dalla Lega).

Ma accanto a questo, fuori dal perimetro della sua attività da ministro, la Lega di Salvini, nel rapporto con il partito della premier, ha utilizzato due profili diversi: uno positivo, l’altro negativo. Il profilo positivo è quello che la Lega ha scelto di adottare nelle non poche occasioni in cui il partito di Meloni è scivolato sulla buccia di banana del populismo. Fratelli d’Italia mostra imbarazzo sul 25 aprile? Ecco la Lega che chiede di non aver paura a dirsi antifascista. Fratelli d’Italia mostra difficoltà sul Pnrr? Ecco la Lega che chiede di non aver titubanze sulla necessità di usare tutti i soldi concessi dall’Europa. Un ministro del partito di Meloni finisce al centro di un’inchiesta giornalistica? Ecco la Lega che chiede al partito della premier di chiarire in Aula. Un ministro di Fratelli d’Italia dice sciocchezze sulla sostituzione etnica? Ecco la Lega che chiede al partito della premier maggiore serietà. C’è dunque un Salvini che ha scelto di ingaggiare un duello con il partito della premier scommettendo sulla competizione al centro.

E c’è poi un altro Salvini che ha fatto invece una scommessa diversa, che coincide con la volontà di proporsi sulla scena pubblica come il custode unico del sovranismo smarrito. E così la premier fa un passo per allontanarsi da alcune amicizie tossiche del passato, mostrando la volontà di emanciparsi su un dossier delicato come quello migratorio da Polonia e Ungheria? Ecco che Salvini, nel giro di 48 ore, sceglie di difendere a spada tratta i suoi alleati in Europa: sia gli estremisti dell’AfD (che Salvini ha lodato sabato in una intervista al Corriere) sia gli amici francesi del Rassemblement national (ieri la chiacchierata video tra Le Pen e Salvini è stata preceduta da una dichiarazione di fuoco da parte di Antonio Tajani, vicepremier del governo e vicepresidente del Ppe: “Per noi, in Europa, è impossibile qualsiasi accordo con AfD e con il partito della signora Le Pen”). Gli esempi che potremmo fare su questo fronte sono numerosi (ogni volta che Meloni fa l’europeista, Salvini cerca un modo per fare l’antieuropeista; ogni volta che Meloni fa l’atlantista, Salvini cerca un modo per ricordare che in Ucraina anche l’occidente ha le sue colpe; ogni volta che Meloni prende coraggio sul garantismo, Salvini cerca un modo per chiedere a Nordio di non essere divisivo). Ma la questione di fondo è evidente e la ciccia del ragionamento è chiara. C’è una partita, quella della rincorsa agli estremisti europei, che rischia di portare all’irrilevanza. C’è una seconda partita, quella della competizione strategica tra destre di governo, che può portare a qualche successo. La seconda strada porta verso il futuro. La prima strada riporta al Papeete.

Scegliere da che parte stare, in fondo, non dovrebbe essere così difficile. Provare a competere al centro per contare in Europa o continuare a vestire i panni dell’influencer dell’estremismo? Il futuro del governo, e anche di Salvini, si gioca tutto qui.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.