Foto Ansa 

I sindacati

Furlan ci spiega perché per il salario minimo non bastano i 9 euro

Valerio Valentini

La senatrice dem, che per quasi un decennio ha guidato la Cisl, apprezza la centralità data al tema, troppo a lungo trascurato, della dignità sul lavoro

Al gioco delle parti, quel gioco che la vorrebbe dunque dissidente rispetto al suo partito, si sottrae subito. “Io non ho nulla in contrario a una legge sul salario minimo, ma bisogna farla bene”. Il che però, in effetti, non pare neppure una entusiastica adesione. “Al contrario”, dice allora Annamaria Furlan, “credo sia un risultato notevole l’aver dato finalmente centralità a un tema decisivo e troppo a lungo trascurato, quello della dignità del lavoro. Il fatto poi di essere riusciti a costruire una piattaforma sostanzialmente compatta di tutte le opposizioni, è un altro risultato non scontato. E il merito va dato al Pd e a Elly Schlein, che molto si è battuta su questo fronte fin dall’inizio del suo mandato”. Fin qui, insomma, le premesse. Resta però da capire cosa pensi Furlan, senatrice dem che per quasi un decennio ha guidato la Cisl – quella Cisl che è sempre stata assai scettica sulla necessità del salario minimo, e lo è tuttora –  del disegno di legge elaborato dai partiti di centrosinistra. “Lo ritengo un buon punto di partenza, ma ritengo assolutamente necessario rafforzare, e non poco, la parte che riguarda la contrattazione collettiva. Perché la semplice fissazione di una cifra oraria, i 9 euro, non basta. Anzi, si rischia perfino di complicare il quadro, favorendo l’uscita di tanti datori di lavoro dai contratti nazionali”. 

Che fare, dunque? “Guardare i numeri, anzitutto. I contratti collettivi nazionali firmati da Cgil, Cisl e Uil coprono il 97 per cento dei lavoratori italiani. E questo, beninteso, non ci esime dall’affrontare la piaga del lavoro povero, e anzi deve indurci a illuminare quelle zone d’ombra fuori dai contratti nazionali. E non mi riferisco solo al nero, ma anche a quei contratti fatti da certe sedicenti cooperative che prevedono prestazioni di dieci ore a settimana. Lì, è evidente, si nasconde uno sfruttamento intollerabile”. E però, i 9 euro di per sé non risolverebbero questi problemi. “No, se non si prendono come riferimento i contratti nazionali e se non si rafforza la contrattazione collettiva. Nel leggere il disegno di legge delle opposizioni, vedo con piacere che sul punto si fanno passi avanti significativi rispetto al precedente ddl Catalfo, del M5s”. 

E’ sufficiente? “Su questo servirà riflettere. Ricordando che il contratto nazionale garantisce tutele che vanno ben oltre la semplice indicazione della paga oraria, che in certi casi, come nel settore del commercio, risulta raddoppiata rispetto alla cifra base. Lo stesso vale ad esempio per i  metalmeccanici: dai 12 euro all’ora iniziali, si arriva a 17. Questo perché, oltre alla semplice paga, i contratti nazionali riconoscono Tfr, tredicesime e quattordicesime, sanità integrativa, mense, buoni pasto, e cioè il welfare aziendale”. E in che modo si dovrebbe potenziare, dunque, il ddl voluto fortemente da Schlein? “Introducendo un vincolo per le imprese all’applicazione dei contratti, obbligando ogni datore di lavoro a indicare all’Inps il tipo di contratto che si applica nella sua azienda. E poi, ovviamente, potenziando i controlli: perché se in una città come Palermo ci sono, in tutto, quattro ispettori, di cosa parliamo?”. Da parte del governo, in ogni caso, disponibilità a discutere sembra essercene poca. “E non mi sorprende, purtroppo. Sul tema del lavoro, le uniche cose che Giorgia Meloni ha fatto sono state lo sdoganamento del precariato con la reintroduzione dei voucher e il causalone nei contratti a termine, immaginando perfino una contrattazione diretta tra datore e lavoratore precario. La ministra Calderone, all’inizio della legislatura, venne in Parlamento a promettere che avrebbe rafforzato le politiche attive, garantendo che sarebbe tornata a illustrarci i risultati raggiunti. Nove mesi, e nessuna l’ha più vista. Nel frattempo, però, si dimezza la platea dei percettori del Reddito di cittadinanza. E’ così che si intende combattere la povertà?”. 

Dunque non è casuale che proprio su questo tema si sia coagulata, sia pur tra qualche contraddizione, una prima unità delle opposizioni? “Io spero che un’opposizione di centrosinistra sappia, sempre più costantemente, compattarsi intorno alle battaglie fondamentali per migliorare la vita delle persone: il lavoro, certo, e poi la sanità, e l’istruzione”. Ripartire dai fondamentali. “Non sarebbe male”.

Di più su questi argomenti:
  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.