(foto LaPresse)

L'editoriale del direttore

La leadership meloniana è a un passo da una svolta: dalla stagione delle ambizioni a quella delle frustrazioni

Claudio Cerasa

Poche idee, molto galleggiamento: il tentativo di emanciparsi dal passato populista e di proiettarsi verso il futuro non sta funzionando. Le sei scommesse perse dall’esecutivo

Sono passati otto mesi dalla nascita dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ma la postura adottata nelle ultime settimane dalla maggioranza è quella che solitamente si inizia ad apprezzare quando le legislature si trovano irrimediabilmente agli sgoccioli. Non è un clima da inizio estate: è un clima da inizio galleggiamento. E quando un governo inizia a galleggiare, quando un governo cioè si ritrova a combattere con il tran tran quotidiano, il rischio di passare dalla stagione delle grandi ambizioni a quella delle grandi frustrazioni è reale e concreto. Ed è il rischio di fronte al quale si trova oggi il governo Meloni. Aver rimosso in misura consistente parte del proprio passato, a colpi di incoerenze e di abiure, è un tratto virtuoso della leadership meloniana. Ma il tentativo di costruire una nuova identità della destra italiana, capace di proiettarsi verso il futuro, di emanciparsi dal passato populista, di scrivere una storia diversa da quella fallimentare messa in mostra dall’internazionale nazionalista, è un tentativo che al momento non sta funzionando. Al netto della propaganda, la destra meloniana aveva scelto di scommettere su sei battaglie cruciali, in grado di mettere in evidenza le caratteristiche di una nuova stagione conservatrice.

 

Battaglia garantista. Scommessa presidenzialista. Rivoluzione fiscale. Sostegno all’autonomia. Difesa dell’Ucraina. Europeismo pragmatico. La rivoluzione garantista, nell’attesa di diventare qualcosa di simile alla realtà, è costellata da infinite occasioni in cui la destra, quando ha potuto, le garanzie, più che sostenerle, le ha umiliate: vedi i continui aumenti di pena per i reati mediaticamente sensibili. La scommessa della riforma istituzionale, degradata nel frattempo a scommessa del premierato, stenta a decollare. La rivoluzione fiscale, legata alla delega fiscale, più passa il tempo e più per stessa ammissione dei parlamentari del centrodestra tende ad assomigliare a un contenitore vuoto e a un’occasione persa. L’autonomia differenziata da misura bandiera è divenuta una riforma da agitare solo in procinto di qualche tornata elettorale nel nord Italia. Sulla difesa dell’Ucraina, nulla da dire. Ma sull’europeismo pragmatico la traiettoria del governo appare essere confusa, contraddittoria, incerta. Confusa perché in Europa le alleanze dell’Italia non sono chiare: con Orbán o con Macron?

 

Contraddittoria perché da mesi l’Italia continua a mostrare il suo volto irresponsabile su un trattato che solo l’Italia ha scelto di non ratificare: il Mes. Incerta perché sulla grande partita di politica economica che si gioca il nostro paese, il Pnrr, i progressi non si vedono. Ed è costretto ad ammetterlo anche il Servizio studi di Camera e Senato che in un documento appena depositato ha messo in fila alcuni numeri. “Ammonta a 118 (su 285: il 41,4 per cento di riforme e investimenti dell’intero Piano) il numero complessivo di Riforme e Investimenti per i quali le amministrazioni titolari hanno rilevato almeno una delle quattro tipologie di elementi di debolezza e criticità in sede di realizzazione e monitoraggio. Di queste, sono 59 le riforme e gli investimenti che risulterebbero affetti da almeno una delle prime due categorie di difficoltà, vale a dire da Eventi e circostanze oggettive, mentre ammontano a 101 le Riforme e gli Investimenti interessati da difficoltà normative, amministrative e gestionali”. Otto mesi dopo la nascita del governo, il principale problema di Giorgia Meloni non è avere una maggioranza litigiosa, d’altronde quando l’opposizione non esiste la maggioranza tende spesso ad assumere con disinvoltura sia il profilo di lotta sia quello di governo, ma è avere una maggioranza senza idee, senza visione, senza anima, dove la sproporzione tra quello che vorrebbe fare la premier e quello che riesce a fare il governo è misurabile nell’immagine di un governo che nell’attesa di essere all’altezza delle sue ambizioni si rassegna a galleggiare in un mare di grandi frustrazioni.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.