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cercasi orgasmo garantista

Può avere futuro il garantismo modello Nordio? Tre idee per ragionare

Claudio Cerasa

Meno gogna, più stato di diritto. La vera battaglia contro il populismo oggi passa da qui: dire no a una Repubblica giudiziaria fondata  sulla cultura della gogna. Ora lo sanno anche i sindaci del Partito democratico. Forza Nordio

Ci sono almeno tre motivi diversi per seguire con molta attenzione il destino della riforma della giustizia annunciata ieri dal ministro Carlo Nordio. Un primo motivo riguarda il merito. Un secondo motivo riguarda il metodo. Un terzo motivo riguarda l’effetto.

    

     

Sul merito politico la questione è fin troppo chiara. E immaginare che il governo possa portare avanti un pacchetto formato da una revisione del reato dell’abuso di ufficio, da una correzione della norma sulle intercettazioni e da un intervento sul sistema che regolamenta la carcerazione preventiva dovrebbe suscitare un orgasmo politico a tutti coloro che sognano di avere un giorno un’Italia governata più dalla presunzione di innocenza che dalla presunzione di colpevolezza. Un’Italia, cioè, sensibile più allo stato di diritto che alla cultura della gogna. Ci possono essere dubbi sul fatto che un reato idiota come l’abuso d’ufficio, un reato che si trasforma in un rinvio a giudizio solo nell’uno per cento dei casi, che tende a paralizzare l’attività amministrativa dei comuni e che è ormai divenuto uno strumento finalizzato a offrire ai magistrati più ideologizzati un’ennesima occasione per esercitare il proprio potere discrezionale, debba essere rivisto con urgenza, anche per contrastare l’idea che l’immobilismo debba essere necessariamente l’unica forma di legalità consentita in Italia? Ci possono essere dubbi sul fatto che vietare una pratica odiosa come la trascrizione nei brogliacci giudiziari delle intercettazioni tra persone non indagate, una pratica la cui esistenza è giustificata solo dalla volontà dei magistrati di offrire ai cronisti elementi penalmente irrilevanti per montare la panna attorno a indagini evidentemente a corto di ciccia, sia non un cedimento alla cultura del bavaglio ma una riaffermazione del diritto di un cittadino di vivere in un paese non dominato dal metodo Stasi? E, infine, ci possono essere dubbi sul fatto che intervenire sugli abusi della carcerazione preventiva, portando il numero di giudici necessari a valutare la legittimità di questa misura, da uno a tre, sia non un cedimento alla cultura innocentista ma un tentativo di rendere non sistematica, non automatica, una pratica che dovrebbe essere rara, eccezionale, e che invece, dai tempi di Tangentopoli, è divenuta una semplice prassi, in devozione all’idea che sbattere in carcere qualcuno senza un processo possa essere un modo utile per costringere un indagato a dire a un magistrato quello che un magistrato vuole sentirsi dire per poter avere le prove che gli mancano per poter costruire il suo castello di carte? Il merito politico della riforma Nordio, se mai prenderà forma, ci dice che il fatto che questo provvedimento sia stato trasformato dalla sinistra in una riforma di destra è l’ennesimo segnale di un problema che il fronte alternativo a Meloni & Co. sembra voler ignorare. Un segnale che somiglia a un rischio: continuare a regalare alla destra battaglie di buon senso che la destra di governo sta rosicchiando via dall’agenda degli avversari.

E qui arriviamo al secondo punto del nostro ragionamento che riguarda il metodo strategico veicolato da questa riforma. Si è detto a lungo in questi mesi che la destra italiana avrebbe messo in campo una serie di misure finalizzate a dividere atrocemente il paese. Ma il caso della riforma della giustizia è lì a dimostrarci che almeno finora molti provvedimenti portati avanti dalla maggioranza hanno contribuito a dividere molto l’opposizione e poco l’Italia. Ha diviso l’opposizione la linea atlantista sull’Ucraina (il M5s sogna un referendum per smettere di inviare armi a Zelensky: potremmo chiamarlo il M5z, in ossequio all’agenda Putin). Ha diviso l’opposizione la linea sull’immigrazione (l’ex ministro del Pd Marco Minniti ha elogiato il governo per aver votato il patto europeo sui migranti andando contro gli interessi dell’Ungheria e della Polonia). Ha diviso l’opposizione la linea sulla Rai (il M5z, astenendosi in cda, ha consentito di far passare il pacchetto delle nomine voluto dal nuovo ad Roberto Sergio). Ha diviso l’opposizione anche sulla surrogata (il Pd è così in difficoltà su questo tema che la segretaria ha scelto di rifiutare nelle interviste ogni domanda su questo dossier). E sta dividendo l’opposizione anche sul tema della giustizia, considerando il numero di sindaci del Pd andati “in pellegrinaggio” da Nordio, come ci ha confessato lo stesso Nordio sabato scorso alla Festa dell’Innovazione del Foglio, per chiedere al governo di andare avanti sul tema dell’abuso d’ufficio. E considerando il fatto che un pezzo di opposizione (il Terzo polo, nel frattempo diventato quarto o quinto polo) ha già annunciato giustamente che voterà a favore di questa riforma e che la stragrande maggioranza dei parlamentari e dei senatori del Pd lo farebbe se non fosse terrorizzata dall’idea ridicola di non lasciare il tema del giustizialismo solo al M5z (i governi si possono combattere anche sfidandoli a fare davvero le cose sagge che hanno promesso di fare). E qui arriviamo al terzo punto del nostro piccolo ragionamento che ha un suo sapore per così dire culturale (scusate la parola). Il fronte politico ed editoriale che in questi mesi ha scelto di combattere Meloni facendo leva sull’antifascismo ha scelto di denunciare ogni presunta svolta illiberale della maggioranza di governo rivendicando la necessità di essere inflessibili contro ogni forma di populismo, contro ogni tentata  svolta autoritaria, contro ogni deriva politica caratterizzata dalla volontà di declinare i pieni poteri. Curiosamente però quando la politica sceglie di riappropriarsi dei suoi spazi andando a riequilibrare il rapporto tra potere giudiziario e potere legislativo gli stessi inflessibili anti populisti considerano molto populista fare tutto il possibile per evitare che vi sia un’Italia dominata da una magistratura fuori controllo, abituata a surfare sulla cultura della gogna per utilizzare al meglio i pieni poteri che le vengono offerti da una politica che in questi anni ha accettato di non ribellarsi alla vergognosa trasformazione dell’Italia da Repubblica democratica fondata sul lavoro degli italiani a Repubblica giudiziaria fondata sul lavoro delle procure.

Con ottimismo, il ministro Nordio sabato scorso ci ha detto che un suo obiettivo è promuovere una nuova egemonia in Italia: quella garantista. E il fatto che vi possano essere dubbi sull’idea che combattere contro i pieni poteri della Repubblica fondata sulle manette sia solo un atto di buon senso e non una svolta autoritaria della destra ci dice molto su cosa sia diventata una parte d’opposizione in Italia, sia quella politica sia quella editoriale. Un’opposizione mossa dal desiderio di inventare pericoli che non esistono trascurando di combattere pericoli che esistono. Meno gogna, più stato di diritto. La vera battaglia contro il populismo oggi passa da qui: dire no a una Repubblica giudiziaria fondata più sulla cultura della gogna che sullo stato di diritto.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.