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Il piano

Aprire le fabbriche anche di notte. Così governo e Ue vogliono supportare Kyiv

Valerio Valentini

Il monito del commissario per il Mercato interno Thierry Breton e gli incontri con Meloni e Crosetto. Le prospettive di crescita economica e la volontà politica di giocare un ruolo di primo piano nella sfida all’invasione di Putin 

L’indiscrezione se l’è lasciata scappare, tre giorni fa e nel generale disinteresse degli interlocutori, Thierry Breton. Parlava delle necessità di potenziare la produzione di munizioni in Europa, il commissario per il Mercato interno, e delle “difficoltà di varia natura” che questo obiettivo pone. Dunque, il riferimento più specifico. “In Italia – ha proseguito Breton, durante una conversazione con alcuni corrispondenti francesi – le fabbriche non possono per legge lavorare di notte, per cui vedremo se è possibile derogare a questa regola per il caso di fabbriche di munizioni”. Non era lo sfogo di un momento. Dell’ipotesi Breton ha parlato con esponenti del governo e alti dirigenti dell’Esercito nel corso della sua recente visita in Italia, tappa importante di un tour che il commissario sta facendo in giro per l’Europa per capire come risolvere il problema della penuria di pallottole e munizioni da inviare a Kyiv. “Scambio di opinioni sull’urgente necessità di aumentare la produzione di munizioni per l’Ucraina e la sicurezza dell’Ue”: questo era, ufficialmente, lo scopo del colloquio che Breton ha avuto con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, lo scorso 13 aprile.

 

Poche ore prima, però, il politico francese aveva già incontrato Guido Crosetto, ministro della Difesa, e con lui aveva visitato gli stabilimenti di Simmel a Colleferro – principale centro di produzione di munizioni in Italia – e quello di Oto-Melara a La Spezia, che fa capo al colosso Leonardo. Con loro, il segretario generale della Difesa, Luciano Portolano. E non a caso, visto che è lui il direttore nazionale degli Armamenti delle nostre Forze armate. Non si è trattato di visite di cortesia. Breton si è intrattenuto dapprima con l’amministratore delegato di Simmel, Paolo Reginaldi, e coi consiglieri delegati di Leonardo, Gabriele Peralli e Marco De Fazio poi: si è informato sulle capacità produttive delle fabbriche, sulle prospettive future, sull’eventuale varo di investimenti finanziati anche con fondi speciali europei, compresi quelli del Next Generation Eu.

 

Che quegli stabilimenti possano rientrare nella strategia d’emergenza dell’Ue per fare fronte alla carenza di munizioni, è emerso chiaramente anche nelle dichiarazioni ufficiali. Che per far ciò si stia vagliando l’ipotesi di aperture notturne, con turni straordinari anche in deroga alle attuali regole sindacali italiane, è un dettaglio che lo stesso Breton ha rivelato martedì scorso. Ed è un dettaglio su cui, consultati dal Foglio, esponenti del governo hanno preferito non commentare, per ora.

 

E si capisce. Si capisce la cautela, si capisce, forse, pure un certo imbarazzo. Perché, da un lato, la prospettiva è allettante. Sul piano economico, anzitutto, come confermano anche ai vertici di Leonardo, visto che i fondi che la Commissione è pronta a sborsare sono molti, e garantirebbero anche prospettiva di ricerca futura. Almeno 500 milioni sono quelli stanziati da Breton, nel contesto di un Fondo europeo per la Difesa che però ammonta a oltre 7 miliardi: soldi con cui Bruxelles intende cofinanziare, per un importo variabile tra il 40 e il 60 per cento, i progetti nazionali per la produzione di munizioni. Perché bisogna fare in fretta: e forse non è del tutto casuale che l’acronimo del Piano lanciato da Breton, Asap, pur stando ufficialmente per Act to Support Ammunition Production, rimanda inevitabilmente allo slang inglese che significa: “il prima possibile”. Ed ecco perché dalla Difesa fanno notare che, oltre che a contribuire al sostegno dell’Ucraina, una spinta del genere potrebbe rivitalizzare un settore, quello delle munizioni, su cui in Italia da anni si è smesso di scommettere e di investire.

 

C’è di più, poi. C’è la volontà, tutta politica, di Meloni: quella, cioè, di giocare un ruolo di primo peso, nella sfida all’invasione di Putin. Atlantismo spinto, insomma. Se tutte queste sarebbero le possibile convenienze, però, ci sono poi le scontate controindicazioni. Di qui la reticenza, allora, forse. Di qui l’imbarazzo. Perché già è abbastanza trasversale l’accusa di “bellicismo” rivolta a Meloni e Crosetto, in modo assai spesso pretestuoso, da pezzi di sinistra, dal M5s, e da aree del mondo cattolico. Se queste invettive dei sedicenti pacifisti potessero poi trovare nuova linfa nella retorica sindacale, quella per cui “non si aprono le fabbriche di notte, in via straordinarie, per produrre strumenti di morte”, tutto ciò porterebbe a un’ulteriore esacerbazione della polemica. E questa, poi, vagliela a spiegare a Breton. 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.