Viale Mazzini

Rai Borbonica. Fuortes non si dimette e con Sangiuliano fa guerra alla Francia

Carmelo Caruso

L'ad Rai non lascia prima della nomina al Teatro San Carlo, ma serve il decreto per sollevare Lissner e i pensionati. La Lega nicchia, Meloni pure. Intanto repliche, sciopero dei dipendenti

Rai Borbonica. Fuori le parrucche. Ora è Carlo Fuortes, il “patriota”, compagno d’armi del ministro Sangiuliano, “el castigador” dello straniero. La scena si sposta da Milano a Napoli. Avevamo lasciato l’ad Rai a un passo dal diventare sovrintendente della  Scala, ma una nuova missione, ben più alta, lo attende. Restituire l’Italia agli italiani. Dunque, dalla Rai non si schioda  (domani il cda decisivo per approvare il bilancio) se prima non lo incoronano sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli (mica è fesso. In trincea promette: non lascio. Posso arrivare fino a giugno). Il real teatro napoletano è guidato dal “francioso” Stéphane Lissner. Sangiuliano, ovvero Saint-Just, non lo sopporta. Nasce un’ alleanza Fuortissima! Il rosso Fuortes e il ministro moro.


Non poteva finire, e infatti non finisce. Andiamo di cronaca. Domani, i “cadetti”, i membri del cda Rai, approveranno il Bilancio, così come “ordinato” dalla regina Giorgia Meloni. Il patriota Fuortes, indomito, ha già un piano. Ce lo hanno passato le spie francesi (se il sottosegretario Fazzolari li scopre, bombarda l’Eliseo). Quindi. Ricapitoliamo. Voto favorevole del Bilancio Rai, decantazione di Fuortes, proclamazione a sovrintendente del San Carlo di Napoli e successive (sue) dimissioni. I consoli della premier: “Ma dimettiti la sera del 20 aprile. La tua nomina è questione di settimane, serve solo un decretino”. Lui, Fuortes, l’hombre de burrito: “Volete fare il decretino? Fatelo. In Rai ho i bilanci regolari. Non si è mai visto uno che lascia prima di ricevere un’altra offerta”. I consoli, ancora: “Ma Carlo, bisogna presentare i palinsesti! La Rai è ferma. L’Agcom ti insegue. I sindacati hanno indetto uno sciopero il 26 maggio. Sono stati bloccati gli straordinari. Mediaset fa il picco di ascolti con la Champions mentre tu mandi le repliche di Montalbano già ad aprile. Arrenditi”. Il patriota, lui che ha scorza di Carlo Pisacane, risponde: “I palinsesti due anni fa sono stati presentati a luglio. Questo pretesto non regge. E’ una congiura, ma io non ci casco”.

 

Ora veniamo al “francioso”, nuovo protagonista di questa saga. A Milano, Fuortes ha ricevuto fuoco amico dal sindaco Sala. Sono entrambi di sinistra. Fuortes, dal canto suo, garantiva a Meloni: “Con Peppe, siamo compagni, mi aiuterà a coronare il mio sogno”. Ecco, col cavolo, che Peppe lo ha aiutato. Sala comunica a Meloni che non lo vuole. Meloni comunica a Fuortes: “Guarda che il tuo amico tanto compagno non lo è…”. Fuortes: “Hai capito gli amici”. FdI a Meloni: “Perdonaci, regina, ma il Pd maltratta Fuortes e noi dobbiamo farci carico di lui? Perché?”. La regina: “Dimostriamo che, noi di FdI, i migranti culturali li tuteliamo con la protezione speciale. Della Rai se ne occupa il nostro ministro della Cultura”. Sangiuliano/Saint-Just, che nel suo studiolo scruta gli astri, ne escogita un’altra. Infaticabile. Nell’ordine. Ha proposto a Fuortes il Maggio Fiorentino, ma peccato che l’ad non ami la bistecca “fiorentina”. La Scala, non ritorniamoci, kaputt. End.  Fine. Resta il San Carlo. Sangiuliano/Saint-Just pensa già a quante opere di Benedetto Croce declamerà sul palco della sua natia città. Fuortes gradisce i babà e la pizza Margherita. E’ fatta. Ma come sollevare il “francioso” Lissner? L’età! Ha superato i settant’anni. Soluzione. Una leggina di poche parole che recita: “Tutti i sovrintendenti al compimento dei settant’anni vengono collocati in quiescenza”.

 

Saint-Just capisce che l’operazione, questa volta, è rischiosa. Occorre il silenzio, quella sostanza che la mistica Elly Schlein ha ormai sparso nel Pd. Alla Camera, il dem Marco Furfaro sembra un monaco cluniacense. Ma non divaghiamo. Tra la sceneggiatura di questa epopea Rai e la sua fine, spunta il solito signor “epperò”. E’ vestito di verde, leghista, alza il dito e dice: “Scusate, prima cerchiamo di fare approvare una norma per pagare i pensionati , mentre ora scriviamo una norma per sollevare i pensionati?”. Il cortocircuito sarebbe evidente oltre alle polemiche sui giornali stranieri. E’ già incubo Le Monde. E di Meloni. Sangiuliano/Saint Just (è stato lui a dire che per Thomas Mann, “l’ironia è l’arma del conservatore”) nega una sua partecipazione attiva sulla questione Rai. Il francioso Lissner, che nella storia Rai c’entrava come i cavoli a merenda, si sente invece come il K. di Kafka: “Ma cosa ho fatto?”.

 

I giureconsulti a Meloni: “Regina premier, la norma di Saint-Just sarebbe una norma patriottica. Ma lo sai che Pereira e Lissner lavorano in Italia e percepiscono la pensione nei loro paesi? Scandaloso”. Meloni, e questa è la malalingua di corte, “ha tutto da guadagnare da questa Rai indebolita e confusa. Mediaset macina ascolti. Il governo non tocca la Rai e  la famiglia Berlusconi sorride. Del resto, Forza Italia è diventata meloniana. E’ un caso?”. L’altra lingua, di palazzo, “Meloni quando sente la parola Rai comincia a correre come Bolt”. L’indegna conclusione di questo pezzo non può che essere lasciata a Fiorello. In radio, ha offerto a Fuortes la direzione della rete immaginaria “Teleminkia”, offerta che, come si è compreso, resta la più concreta soluzione tra le impossibili.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio