Nomine

Lodo Meloni. Niente ex parlamentari nelle partecipate. Il giallo Enel

Carmelo Caruso

La premier non vuole gli ex della Lega nei cda, ma Salvini fa muro contro Donnarruma ad di Terna a Enel. Esiste un parere contro la sua nomina ma nessuno sa chi lo ha chiesto. Per Eni la sopresa può essere Sequi presidente

Un “lodo” e un “giallo”. Le notizie sono due. Giorgia Meloni non vuole parlamentari o ex parlamentari nei board delle grandi società partecipate. Il giallo riguarda invece Enel e uno dei candidati a guidarla. Si tratta di Stefano Donnarumma, ad di Terna, tra i favoriti per la successione di Francesco Starace. Da settimane si ragiona intorno a un parere redatto da Sabino Cassese sulla eventuale compatibilità  di Donnarumma. Nessuno sa tuttavia chi ha chiesto a Cassese quel parere. Cassese è obbligato alla riservatezza. Enel e Terna escludono di aver chiesto il parere, così come lo esclude il Mef. La Lega è irritata . E’ irritata per il  “lodo Meloni”, per l’“ostinazione” della premier su  Donnarumma e per le poche possibilità che avrà  Paolo Scaroni di essere, come chiedono Lega e FI, presidente di Enel (ma chi puo dirlo?).

   

Chi ha chiesto il parere a Cassese su Donnarumma? Il nodo riguarda il passaggio da una società pubblica come Terna a Enel, società mista. Ci sarebbero due pareri giuridici. Lo ha raccontato Repubblica. Uno sarebbe stato chiesto dal governo all’Avvocatura dello stato.  Un altro è a firma Cassese. La domanda inevasa è questa: chi può chiedere un parere a Cassese su Donnarumma? Se non lo chiede il Mef (la smentita è netta) se non lo chiede l’ad di Terna, se non lo chiede Enel? Chi? Ma soprattutto: chi ha l’autorevolezza di chiedere a un ex ministro, un ex giudice della Corte Costituzionale, un parere sulla compatibilità di una carica? Un parere potrebbe servire nel futuro come tutela. Attenzione, non è un rompicapo per appassionati di gialli. E’ politica. Su questo parere giuridico si consuma infatti lo scontro più duro tra Lega e FdI. In queste ore si sta decidendo il futuro di “tre sorelle”: Enel, Leonardo e Poste. I cacciatori di teste hanno messo in cima alla lista dei possibili ad di Enel:  Luigi Ferraris, Paolo Gallo, Flavio Cattaneo, ma la premier, per gratitudine e stima verso Donnarumma (tra i primi manager a credere nel progetto di FdI) non cede. Presidente  potrebbe essere Cesare Pozzi.

 

Ministri come Adolfo Urso e Guido Crosetto hanno perplessità sull’ad di Terna, ma non partecipano al tavolo della trattativa. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha tutta intenzione di selezionare uno di quei tre nomi. Uno di quei tre. Non un altro. Nell’incertezza ci sarebbero nuovi attori che si sono inseriti. Sono i grandi fondi di investimento. Quando si avvicendano i cda delle partecipate, il governo deposita i propri nomi (sono i nomi di maggioranza), ma ci sono anche le liste di minoranza. I fondi esprimono i propri candidati attraverso l’associazione Assogestioni, ma per la grande partita di Enel qualcosa si sta rompendo. Gli investitori sono scettici sulla capacità di rappresentanza di Assogestioni e sul nome dell’ad di Terna  hanno gli stessi dubbi del Mef. Stanno valutando di muoversi in autonomia e di presentare una propria lista. Sarebbe per il Mef , e per il governo, uno schiaffo, tanto più che nel prossimo Cdm si affronterà  un disegno di legge “sulla competitività dei capitali”. Il nome dell’ad di Terna è la leva di Salvini per spezzare il “lodo Meloni” contro i suoi parlamentari.

 

Salvini ha promesso ai leghisti esclusi dal Parlamento (uno di questi è Armando Siri) un futuro nelle partecipate. Meloni si oppone senza distinzione. La sua opinione è che le grandi società non possono diventare la villeggiatura del deputato estromesso. Ma Salvini rilancia perché neppure Enel,  questa è la sua posizione, può essere guidata da un ad “presentato da Riccardo Fraccaro”. Inoltre il “lodo Meloni”, se c’è, deve  valere anche per gli ex ministri, come Roberto Cingolani,  nome gradito dalla premier  come ad di Leonardo.  L’ospedalizzazione di Berlusconi ha indebolito Salvini al tavolo delle trattative, ma nello stesso tempo lo accende. Spostare il manager Ferraris, da Ferrovie a Enel, gli consentirebbe di scalare Ferrovie, anche perché non ci sono in realtà altre grandi società da conquistare. Molte delle nomine sono di fatto ristrette. E vanno concordate. E’ il caso di Leonardo. Non serve neppure scriverlo. Il nome dell’ad e del presidente di una società come Leonardo, azienda che opera nel settore della Difesa, va ovviamente concordato con il presidente  Sergio Mattarella.  E’ garbo istituzionale. In FdI si parla di telefonate tra governo e Francesco Saverio Garofoni, stretto collaboratore del capo dello stato e segretario del Consiglio supremo di Difesa. Sono tutti ex democristiani, come Crosetto.

 

In Leonardo, se non sarà riconfermato Alessandro Profumo, si sceglierà tra  Mariani,  Cutillo e ovviamente Cingolani. Il presidente potrebbe essere Zafarana, generale della Guardia di Finanza, o l’ex rettore Ferruccio Resta. Ma agli alleati cosa resta? Non è forse un governo di coalizione? La Lega vuole la presidenza di Eni.  Meloni tenta il blitz. A Eni si fa adesso il nome dell’ex segretario generale della Farnesina, Ettore Francesco Sequi, ex capo di gabinetto di  Di Maio. L’altro profilo adeguato per una presidenza (Leonardo o Eni) è   Francesco Paolo Tronca, ex prefetto di Roma. Sono funzionari che si adatterebbero sia alla destra sia alla sinistra. Molti dei manager citati, in fondo, sono stati scelti alcuni da Matteo Renzi e altri  scoperti da Giuseppe Conte. Per scriverlo   non serve un parere di Cassese.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio