Beppe Sala e Luca Zaia (Ansa)

Chi più spende

Sala, Zaia e i fondi del Pnrr. Il fronte trasversale e il vincolo del “40 per cento al sud”

Marianna Rizzini

Due voci, una di centrosinistra e una di centrodestra, per lo stesso tipo di richiesta: il governo dia le risorse a chi sa investire. Ma i temi posti dal sindaco di Milano e dal presidente del Veneto si scontrano con un pilastro dell’epoca draghiana: la "territorializzazione” 

Roma. Due voci, una di centrosinistra e una di centrodestra, per lo stesso tipo di segnalazione: c’è il sindaco di Milano Beppe Sala che, di fronte ai fondi europei sospesi lungo la via della difficoltosa messa a terra del Pnrr, dice: il governo li dia a chi li sa investire (“i fondi del Pnrr vadano a chi li sa usare, Milano è pronta”, ha detto Sala al Parlamento europeo, qualche giorno fa). Ma anche il governatore veneto leghista Luca Zaia propone di far arrivare i soldi che altre regioni non riescono a spendere a quelle che abbiano dimostrato buona capacità di gestione.

 

“Abbiamo avuto un incontro con Raffaele Fitto”, ha detto Sala, ricordando che il ministro aveva sollecitato una sorta di “operazione verità”, e il sindaco di Milano, a quel punto, aveva messo sul tavolo l’idea di una redistribuzione: “L’Italia nel 2019, prima del Covid, aveva investito a livello centrale, attraverso i ministeri, cinque miliardi all’anno –  e questo non era soltanto legato alla disponibilità dei fondi ma anche alla capacità di delivery delle gare”, aveva continuato Sala, definendosi “non un provocatore”, ma sottolineando il concetto – “se ci sono dei residui dateli a Milano. Ho tanti progetti nel cassetto, se mi fossero finanziati io ce la farei entro il 2026” – e al contempo la situazione generale di un paese (il nostro), in cui la capacità di investimento si lega a qualche problema di troppo a livello di stazioni appaltanti. “Cosa fa un governo saggio?”, era la domanda retorica di Sala. Che aggiungeva: “Le parole del ministro Fitto suonano un po’ come una resa”, “ma siccome siamo ancora in tempo, estendiamo a tutti l’operazione verità e diamo i fondi a chi li sta investendo”.

 

Non così distanti appaiono, a distanza di qualche giorno, le parole del governatore veneto, nonostante la diversità di vedute politiche. Zaia infatti vorrebbe vedere comparire sul campo “un salvadanaio per quello che non si riesce a investire”. “Non ne faccio una questione geografica”, ha detto, “direi la stessa cosa se non riuscisse a spenderli il Veneto”, forse per non dare l’impressione di voler sottolineare il divario tra chi sa spendere e chi no, in una sorta di lista informale dei più e dei meno bravi. “C’è questa nenia che l’Italia non usa i fondi comunitari”, ha detto Zaia in un’intervista a Libero: “Bene, è ora di cominciare a dire chi non li usa. Se a noi ne dessero il doppio non avremmo problemi a spenderli”. Fatto sta che la domanda è la stessa, in Lombardia come in Veneto: perché non premiare chi è capace di realizzare le opere, visti anche i rischi di perdita dei fondi? E però la concordia bipartisan sulle opportunità perdute che potrebbero non essere tali si scontra con un pilastro dell’epoca draghiana, veicolato attraverso l’allora ministero per il Sud e la Coesione territoriale (ministro era Mara Carfagna): quello della “territorializzazione” delle risorse in favore delle aree svantaggiate. E dopo che la Commissione europea ha ritardato di un mese l’erogazione di una tranche di pagamenti, nelle regioni del Sud si ricorda che il governo precedente, nell’ambito della riduzione dei divari territoriali, aveva deciso di destinare almeno una parte dei fondi di tutti i piani al Sud.

 

Si trattava di un vincolo nel decreto Pnrr, introdotto in sede di conversione del decreto-legge n.77/202. Si prevedeva che le amministrazioni centrali coinvolte nell’attuazione del Pnrr assicurassero che almeno il 40 per cento delle risorse allocabili territorialmente, indipendentemente dalla fonte finanziaria di provenienza, fosse destinato al Mezzogiorno (il ministro Carfagna aveva poi inviato due successive circolari, a distanza di vari mesi, a tutte le amministrazioni centrali). Si creerà un fronte trasversale anti-vincolo del 40 per cento oppure le ambizioni trasversali dei “virtuosi” dovranno necessariamente arretrare?
 


 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.