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tra colle e palazzo chigi
Il fastidio di Mattarella: "Non sono il capo dell'opposizione". E il governo sbanda sul Pnrr
Il rapporto con Meloni, la grana dei fondi europei a rischio. Così il capo dello stato prova a destreggiarsi nonostante gli strattonamenti di un pezzo di opinione pubblica
“Non sono il capo dell’opposizione”. La frase per quanto scontata, visto che a ribadirla in queste ore con una punta di fastidio è proprio Sergio Mattarella, racconta però da un punto di vista privilegiato quanto sta accadendo al governo alle prese con il Pnrr. Ai ritardi dell’esecutivo Meloni con una tranche congelata (“ma il piano non l’ho scritto io”), si sommano adesso anche i distinguo della Lega di Matteo Salvini che “invita a guardare in faccia la realtà”. E cioè a valutare di “rinunciare a una parte di fondi se non si dovesse riuscire a investirli in progetti necessari, evitando sprechi e indebitamento degli italiani”, come dice il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari. Trovando però il muro di Meloni e dei suoi. Oltre alle polemiche dell’opposizione. E in questo caos, lassù, c’è il capo dello stato.
Venerdì la premier è salita al Colle per un pranzo che si è protratto più del previsto tanto da farle saltare la trasferta elettorale a Udine. Al centro del menù, si presume, la grana del Pnrr, ma anche i caveat dell’Europa all’Italia (la ratifica del Mes e un provvedimento sui balneari, prossimo ad arrivare in Cdm). E’ di ieri la notizia che anche Mario Draghi è andato al Quirinale, ma, si scopre, undici giorni prima della convocazione della leader di FdI. Ecco, è in questa dinamica che Mattarella non intende entrare: ricevere “per cortesia” l’ex banchiere a cui affidò il governo del presidente dopo Giuseppe Conte, non vuol dire che ci sia l’intenzione di creare giochi di sponda per mettere in difficoltà l’attuale “capa” del governo.
Una cosa insomma è essere il garante della Costituzione, armonizzare i rapporti soprattutto in politica estera, dare consigli, pungolare l’esecutivo anche con forza; un’altra è ergersi a controcanto. I rapporti fra il presidente della Repubblica e Meloni sono buoni e per nulla problematici (niente a che vedere insomma con i tempi del Conte 1, esecutivo gialloverde). E anche sulle leggi del Parlamento finora, alla prova dei fatti, non ci sono stati provvedimenti non firmati. Discorso diverso sono le “interlocuzioni” degli uffici e la proverbiale “moral suasion”. Ma insomma, questa è l’idea del Quirinale, “non interveniamo sui programmi votati dai cittadini”. Al di là dei pareri personali e delle convinzioni più intime del bis presidente. Esempio: se Salvini vuole togliere la protezione speciale ai migranti in sé il fatto può dispiacere all’inquilino del Colle, ma non lede dettami costituzionali.
Questo modo di ragionare, scontato ma da ripetere per il diretto interessato, è figlio di un ragionamento che vale sempre: il capo dello stato in Italia è un arbitro, se diventa qualcosa di diverso si spiana la strada al peggior presidenzialismo, che tra l’altro non gode di ottima salute, ultimamente. Da quando si è insediato il governo di destra, così diverso dal percorso politico di Mattarella, spesso si è creata una contrapposizione di simboli. La presenza al Festival di Sanremo, la visita alle vittime di Cutro o alla tomba di don Diana. Azioni fatte “per” non “contro”. Così come i futuri viaggi, il 18 aprile, ad Auschwitz e Boves, nei luoghi simbolo di Shoah e antifascismo, non sono da mettere in correlazione alle strambate di Ignazio La Russa su via Rasella (dalle quali ha preso le distanze anche Giorgia Meloni definendole “sgrammaticature istituzionali”). E però questo offre il dibattito pubblico e sembra essere tutta una questione di equilibri, quella di chi ha come ragione sociale il suo essere “super partes”. Quanto durerà la tempra del presidente davanti a una navigazione che si preannuncia comunque complicata, con un pezzo di opinione pubblica pronta a strattonarlo? Se la salute lo assisterà, assicurano gli amici dell’ottantunenne nonno d’Italia, andrà fino alla fine del mandato. Un po’ per spirito di servizio “quasi monacale” un po’ perché capisce la sedia sulla quale poggia: il suo ruolo può dirsi autorevole solo se non ha una data di scadenza anticipata. D’altronde anche Christine Lagarde, presidente della Bce, nei giorni scorsi durante la cena a Firenze dell’Osservatorio giovani editori, si è lasciata sfuggire un commento “sull’importanza della rielezione di Mattarella come elemento di continuità e stabilità per l’Italia”. In questo scenario si muove il capo dello Stato. Il quale non sottovaluta i problemi che l’Italia corre con il Pnrr, soprattutto alla luce dell’ultima polemica sul fatto di rinunciare a una parte dei fondi. Matteo Salvini parla di “buon senso”, Meloni non ci pensa. La dinamica coinvolge anche i ministri dell’Economia Giancarlo Giorgetti e quello degli Affari europei Raffaele Fitto. I fondi ballano, sospesi in aria come le parole. E il citofono di Mattarella resta sempre dov’è: “Presidente, possiamo salire per parlare un po’?”.