l'analisi

La Schleinomics è un lungo elenco della spesa, senza spiegazioni su come pagarlo

Luciano Capone

La stella polare del programma di Elly Schlein è la riduzione delle disuguaglianze (sociali e climatiche), dove maggiore equità si traduce in maggiore spesa pubblica. Ma del "nuovo contratto sociale" della segretaria del Pd non si capisce come (e da chi) verrà finanziato. Contraddizioni e mancanze

Ma qual è il programma economico di Elly Schlein? Che visione ha e come intende realizzarla? Nella mozione congressuale con cui è stata eletta alle primarie, la neo segretaria del Pd scrive che la sinistra ha davanti a sé enormi sfide: “Come cambiamo il modello di sviluppo neoliberista che si è rivelato assolutamente insostenibile”;  “come creare lavoro di qualità e buona impresa nell’era digitale”; “come accompagniamo le comunità e le imprese, specie quelle piccole e medie nella conversione ecologica”; “come salvaguardiamo i beni comuni che vanno sottratti alle mere logiche del mercato”. La visione è chiara, ma il problema è proprio che manca il “come”.

 

Le 33 pagine del documento sono chiare nell’indicare l’identità e la visione di un partito impegnato a ridurre le disuguaglianze: “Sociali, di genere, generazionali, ma anche territoriali e di riconoscimento”. Ciò vuol dire per Schlein intervenire laddove esista qualsiasi tipo di divario ritenuto troppo ampio: tra gli stipendi dei dirigenti e quello dei lavoratori, tra pensionati, nella povertà educativa, nella discriminazione razziale e patriarcale, nel blocco dell’ascensore sociale, nei “rapporti tra i Nord e i Sud del mondo e del nostro paese”, tra centro e periferia ma anche tra città e “aree interne”, nel diritto alla casa e alla salute. La novità rispetto al passato, almeno perché espressa in maniera più netta, è che la classica battaglia per la giustizia sociale è ritenuta inscindibile dalla giustizia climatica in quanto “non si può lottare efficacemente contro le diseguaglianze se non si affronta nello stesso tempo l’emergenza climatica, che ne è insieme concausa ed effetto”.


Per affrontare queste disuguaglianze plurime e intersezionali, Schlein propone  “un nuovo contratto sociale”. In cui, in sostanza, maggiore equità si traduce in maggiore spesa pubblica. Per la sanità: “Un nuovo contratto sociale vuol dire lottare per un grande investimento nella sanità pubblica universalistica”. Per le pensioni: “Un nuovo contratto sociale vuol dire un sistema previdenziale che superi le rigidità della riforma Fornero”. Per la scuola: “Un nuovo contratto sociale vuol dire ricominciare a credere e investire nell’istruzione pubblica”. Per le abitazioni: “Un nuovo contratto sociale vuol dire rimettere al centro della nostra azione politica il diritto fondamentale alla casa”. Per l’assistenza sociale: “Un nuovo contratto sociale vuol dire  un nuovo welfare universalistico e di comunità”. E così via. 


C’è quindi un grande problema di risorse, che non si può risolvere con formule del tipo “bisogna tornare a dire con forza che il welfare (o la sanità, o l’istruzione, ndr) non è un costo: è un investimento”. Perché, che siano costi o investimenti, nel bilancio pubblico rientrano sempre nella colonna delle uscite. Ed è qui che manca  il “come” di  Schlein. Non si tratta di fornire le cosiddette “coperture”, dato che una mozione congressuale non è una legge di Bilancio bensì un documento che indica una visione. In ogni caso, bisognerebbe spiegare come si intende finanziare l’ulteriore espansione dello stato.

 

Ci sono solo due modi: più debito (almeno finché è possibile) o più tasse (sebbene l’Italia abbia una pressione fiscale tra le più alte al mondo). Il primo è escluso da Schlein, perché bisogna “evitare di lasciare in eredità alle prossime generazioni un debito pubblico insostenibile”. Resta l’altro. Sul tema Schlein dice qualcosa, usando due classiche parole di sinistra come “redistribuzione” e “progressività”. Vengono abbozzate una patrimoniale e una riforma fiscale, ma mai all’interno di un aumento complessivo della pressione fiscale bensì nell’ottica di un riequilibrio: “La strada da seguire è spostare il carico fiscale dal lavoro e dall’impresa alle rendite e alle emissioni climalteranti”. Si tratta, quindi, di una distribuzione diversa dell’attuale carico fiscale e non di un incremento, che lascia irrisolto l’interrogativo del “come” (e quindi del “chi”) si paga il “nuovo contratto sociale”. Che è in genere la domanda a cui ogni populismo economico non risponde.


C’è poi nell’impostazione schleiniana un’enorme contraddizione tra i princìpi e le battaglie che il Pd sta portando avanti. Una, ad esempio, riguarda la tassazione delle “emissioni climalteranti”: il governo Meloni ha eliminato il costoso sconto delle accise sui carburanti, ma il Pd – con in testa il responsabile economico schleiniano, Antonio Misiani – si è schierato contro, proponendo nella sua “contromanovra” un rifinanziamento di questo sussidio ambientalmente dannoso. L’altro riguarda il Superbonus e, più in generale, i bonus edilizi (si pensi al Bonus facciate dello schleiniano Franceschini), che sono stati la più grande operazione di greenwashing e redistribuzione al contrario: 120 miliardi di euro spesi per rifare le case dei più ricchi. L’esatto contrario delle proposte vaghe di Schlein. Però il Superbonus l’hanno criticato e fermato Meloni e Giorgetti, mentre il Pd l’ha realizzato e continua a difenderlo.

 

Ovviamente c’è una ragione per cui il Pd schleiniano attacca Meloni su accise e Superbonus ed è quella, comprensibile, della ricerca del consenso. Ma proprio il fatto che Schelin si posizioni opportunisticamente all’opposto dei propri princìpi, e non dica come si paga il suo nuovo “modello di sviluppo”, dovrebbe far riflettere sulla sostenibilità politica e finanziaria della propria linea di politica economica. 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali