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Lo spunto

Giorgia Meloni pensi a fare la statista e non cada nelle provocazioni

Paolo Cirino Pomicino

La reputazione internazionale dell'Italia negli ultimi venticinque anni è precipitata drammaticamente: il governo ha davanti a sé anni di difficile recupero di un ruolo all’altezza della tradizione

La cena all’Eliseo tra Scholz, Zelensky e Macron di qualche settimana fa accese come al solito polemiche da ballatoio. Purtroppo, Giorgia Meloni invece di farsi scivolare il tutto ricordandosene a tempo opportuno, ha risposto risentita all’iniziativa del presidente francese. La nostra premier dovrebbe essere più consapevole di essersi assicurata la guida di un paese la cui reputazione internazionale negli ultimi venticinque anni è precipitata drammaticamente. Negli anni Ottanta l’Europa era guidata da Kohl, Mitterrand ed Andreotti, che insieme costruirono gli accordi dì Maastricht. Quell’Italia che difese sempre Gheddafi dalle aggressioni americane solo perché senza Gheddafi la Libia sarebbe caduta nelle mani delle tribù locali. Un’Italia che non c’è più.

 

Dal 1994 in poi, dopo quel che era accaduto con crollo dell’Unione sovietica, la guerra nel Balcani e il crescente indebitamento della Grecia travolta anch’essa da una grande incertezza politica, Francia e Germania strinsero un accordo non scritto. A Berlino l’influenza sui Balcani e sulla Grecia e alla Francia l’Italia della Seconda repubblica. Può sembrare, questa, una fantasticheria, ma verificate se negli ultimi 25 anni ci sia stato un solo investimento di rilievo nel nostro paese della Germania, che ha invece investito molto sui Balcani e sulla Grecia, mentre sarebbe difficile fare il lungo elenco degli acquisti del capitalismo francese in Italia. Dall’energia al lusso e alla moda, dalle banche al mondo della produzione di prodotti alimentari per finire poi con l’invasione della grande distribuzione francese e con la maggioranza in Tim-Telecom, non c’è settore strategico che non sia stato toccato dal capitalismo d’oltralpe. Chi decise ad esempio che la Bnl, la banca dello stato, dovesse andare ai francesi invece che alla cordata italiana Unipol-Caltagirone? Quel che accadeva sul piano economico trovava, poi, la puntuale risposta sul piano politico. Libia docet con il bombardamento di Tripoli e l’uccisione di Gheddafi, sempre difeso da quella Italia che non c’è più. La coppia Macron-Merkel si riunì altre volte in solitudine, partorendo poi il Recovery Fund di cui l’Italia beneficiò non poco solo perché la sua economia era la più sgangherata e la sua manifattura era essenziale per far riprendere la crescita nell’Eurozona. Insomma, sono almeno 25 anni che la Francia sembra trattarci come una colonia per cui compra in Italia ogni eccellenza possibile ma senza alcuna reciprocità (vedi il caso Fincantieri-Cantieri di Saint-Nazaire bloccato dallo stesso Macron). Ma perché questo è accaduto?

 

Il vero motivo politico di questa silenziosa subalternità certamente ci sarà ma chi scrive vede un solo un aspetto, che però dice molto. Quelli che andarono al governo del paese dal 1994 in poi ebbero come obiettivo di vendere le migliori eccellenze produttive italiane in ogni campo, pensando così di internazionalizzare la nostra economia e bloccare l’aumento del debito pubblico. L’internazionalizzazione non avvenne, il debito continuò a crescere e l’Italia continuò sempre più a vendere economia e politica. E la Francia ringraziò insignendo con la legion d’onore quasi tutta la sinistra di governo. Da Prodi a D’Alema, da Bassanini a Fassino, da Enrico Letta a Giuliano Pisapia, da Giorgio Napolitano a Walter Veltroni, a Roberta Pinotti e ancora qualche altro che in questo momento opportunamente ci sfugge. Ecco perché, come dicemmo subito, l’accordo italo-francese andava subito compensato con un’altra intesa da stipulare con la Germania. Ma il patto non scritto prevalse.

 

Con questo scenario la Meloni, e non solo la maggioranza, ha davanti a sé anni di difficile recupero di una reputazione all’altezza della nostra tradizione e dovrà farlo senza rispondere a inutili provocazioni da qualunque parte arrivino. Uno statista non scende a litigare sul ballatoio del proprio paese, semmai fa una battuta divertente per prendere le distanze da chi vuole una Europa divisa o guidata dall’asse franco-tedesco, che pure ha una sua oggettiva rilevanza di cui tener conto. Chi vuole dividere o comandare e occupare grandi realtà produttive prima o poi si convincerà del contrario.