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Barricate in vista

Sul Superbonus FI pronta a giocare di sponda con Pd e M5s. “L'abiura se la intesti Meloni”

Valerio Valentini

In Forza Italia sono tutti concordi nel ritenere che la stretta sui crediti fiscali, pure giustificata da necessità di finanza pubblica, contraddice in modo clamoroso gli impegni assunti dal partito in questi mesi. Per cui è chiaro che dovremo intervenire in Parlamento”, dice Mulè. Anche lavorando con le opposizioni

Che il rischio d’insubordinazione ci fosse, era così chiaro a Giorgia Meloni che non a caso ha fatto in modo che Antonio Tajani, il quale pure doveva scappare alla Farnesina per incontrare il consigliere di stato cinese Wang Yi, si ritagliasse comunque due minuti di tempo per presentarsi in conferenza stampa e rivendicasse, lui pure, la stretta sul Superbonus. Se poi sia stata un’astuzia raffinata della premier, o piuttosto un’ingenuità del ministro degli Esteri, è argomento di cui in Forza Italia si è discusso. “Visto, peraltro, come siamo stati trattati anche stavolta”.

Ché il problema, certo, ancora una volta sta anzitutto nel metodo. Perché a Tajani, il testo del decreto, Giancarlo Giorgetti lo ha inviato a un’ora dall’inizio del Cdm. E a quel punto, al vicepremier non è rimasto che avvertire subito i capigruppo azzurri e i responsabili economici del partito. Tutti concordi, in verità, a obiettare che quella stretta sui crediti fiscali, sia pure giustificata da necessità di finanza pubblica, contraddiceva in modo clamoroso gli impegni assunti dal partito in questi mesi. Ma al Mef, nell’affanno di un lavoro che ha portato a definire il provvedimento in poche ore, non hanno accolto che marginali modifiche, prima di portare il testo in Cdm. “Per cui è chiaro che ora dovremo intervenire in Parlamento”, dice Giorgio Mulè, “visto che non possiamo essere la sentina degli insulti che ci stanno sommergendo da parte delle categorie a cui avevamo promesso buon senso”.

 

C’è insomma il sospetto, e forse più che un sospetto è una convinzione, che la strategia di Meloni sia, come raccontano anche nella Lega, quella di “privatizzare gli utili e socializzare le perdite”. E si spiega così anche il pastrocchio sui balneari. Se il Carroccio e FI, mercoledì, si sono rifiutati di cedere alle richieste di Palazzo Chigi che chiedeva un disarmo sul Milleproroghe in nome di non meglio precisati rilievi del Quirinale evocati da Luca Ciriani, è perché, come hanno spiegato Licia Ronzulli e Massimiliano Romeo al ministro per i Rapporti col Parlamento, “non potete tenerci all’oscuro di tutto e poi chiederci di votare una richiesta avanzata dalle opposizioni per sopprimere i nostri emendamenti sulle concessioni”. Solo che l’atteggiamento dei due junior partner della coalizione sottendeva un ricatto contrario: che a intestarsi l’abiura sulla Bolkestein, cioè, fosse esplicitamente il governo, cioè Meloni. La quale, in verità, sa che già ne ha tradite troppe di quelle categorie che aveva coccolato nei lunghi anni di opposizione a oltranza, e ora che le incombenze del governare le impongono di fare i conti con la realtà, non ci sta a farsi bersaglio privilegiato delle ingiurie popolari. Dopo i commercianti illusi col Pos, dopo i benzinai tacciati di essere “speculatori”, ora pure i balneari, e quindi i costruttori e i bancari: rischierebbe d’essere troppo perfino per chi gode ancora del favore dei consensi.

 

E qui si torna al Superbonus. Se tra i senatori azzurri “l’ordine per il prossimo mese è quello di fare le barricate”, come racconta un dirigente azzurro, è perché c’è la ragionevole convinzione di potere trovare sponde trasversali, in questa guerriglia. E il fatto che nelle chat di FI si usi perfino Giuseppe Conte come auctoritas per inchiodare Meloni alle sue incoerenze – “Pronti a tutelare i diritti del Superbonus e a migliorare le agevolazioni edilizie”, twittava la premier alla vigilia delle elezioni, e il leader grillino ha rilanciato quel suo post – dà la misura di come si possano trovare convergenze impensabili, sul tema. Del resto già durante la conversione del dl Aiuti quater, dopo il primo ammonimento in grande stile di Giorgetti sul rischio di creare una moneta parallela tramite la proliferazione di crediti fiscali, a Palazzo Madama si erano registrati movimenti bizzarri.

 

E su una proposta avanzata da Marco Lombardo di Azione – che consentiva alle banche di ricorrere agli F24 per rimettere in circolo i crediti incagliati, come chiedono Abi e Ance – si era trovata un’intesa che coinvolgeva anche Pd, M5s e FI, coi leghisti che non sottoscrissero l’emendamento per non sfregiare il loro stesso ministro dell’Economia, ma che s’erano detti favorevoli, prima che il governo fermasse tutto nell’attesa del temuto pronunciamento di Eurostat arrivato nei giorni scorsi. E nel frattempo, alla Camera, l’azzurra Erica Mazzetti, insieme al capogruppo Alessandro Cattaneo, depositavano una mozione, datata 17 gennaio, firmata da tutta la truppa, che invitava il governo “ad adottare iniziative di competenza volte a sbloccare il mercato delle cessioni”. E per una volta, allora, a volere fare sfoggio di quella coerenza di cui Meloni spesso si fregia, vorranno essere gli altri. “Noi abbiamo sempre avuto a cuore la tenuta dei conti. Ma bisognerà trovare un modo sano per smaltire questi crediti già maturati. Lavoreremo in quella direzione”, ci dice Cattaneo. Da lunedì, in commissione Finanze alla Camera, inizia la partita. Barricate comprese. 

 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.