Foto di Stephanie Lecocq, via Ansa 

l'analisi

Per capire l'influenza di Meloni bisogna studiare le agende dei suoi avversari

Claudio Cerasa

I dossier della premier sono spesso fatti di incoerenze. Per comprendere la sua politica è utile guardare a quella del suo predecessore, Mario Draghi, ma anche a quelle di Pd e Terzo polo. E persino a quella del M5s

C’è un tema politico inaffrontabile, e inafferrabile, che riguarda la salute di Giorgia Meloni. Rispondere alla domanda che molti in queste ore si stanno ponendo, ovvero se sia normale o no che una presidente del Consiglio sia costretta per ragioni di salute a saltare numerosi vertici internazionali nell’arco di pochi mesi, è una questione sconveniente, inopportuna, che non può che essere liquidata con una piccola scrollata di spalle e una rispettosa richiesta di farci tutti gli affari nostri. Parlare della frequente influenza di Meloni è un tema poco dignitoso, e poco rispettoso. Ma se volessimo dare una lettura per così dire politica al raffreddore di Meloni più che parlare seriosamente di stress da lavoro dovremmo scherzosamente parlare di stress da agende.

 

E le agende di cui ci sentiamo in dovere di parlare non sono quelle legate agli appuntamenti quotidiani a cui deve far fronte la presidente del Consiglio, ma sono quelle che coincidono con le faticosissime agende di tutti i partiti d’Italia, che in tre mesi di governo Meloni è riuscita a inglobare in modo quasi totalizzante all’interno del suo progetto politico. L’agenda Meloni, lo sappiamo, è fatta di formidabili incoerenze, e quando il governo fa l’opposto di quello che aveva promesso di solito fa sempre la cosa buona. E il risultato di queste incoerenze ha permesso a Meloni di essere, sì, un po’ meno fedele alle proprie promesse elettorali, pensate al taglio delle accise (non fatto), pensate alla tutela dei diritti del Superbonus (non fatto), pensate alla revisione del Pnrr (non fatta), pensate alla non ratifica del Mes (ci siamo quasi), pensate alle battaglie contro l’Europa (archiviate), pensate al nazionalismo esasperato (due settimane fa, a Bruxelles, parlando di aiuti di stato Meloni ha detto che “sull’economia mi aspetto che le legittime aspirazioni delle singole nazioni non vadano a scapito delle altre e si possa trovare un equilibrio”, oh yeah). Ma la politica dell’incoerenza, a volte benedetta, ha anche permesso alla premier di impossessarsi in modo inaspettato delle agende degli altri partiti. Meloni, per esempio, si è impossessata in modo poderoso di una parte importante dell’agenda Draghi. 

 

Su alcuni dossier, Meloni si è mossa in continuità con la detestata agenda Draghi (politica estera, attenzione al debito, prudenza sul Pnrr, indipendenza energetica dalla Russia). Su altri dossier, Meloni è addirittura riuscita a fare quello che a Draghi non era riuscito per mancanza di tempo e di forza politica (revisione del Superbonus, superamento del Reddito di cittadinanza, vendita di Priolo, trattative con Lufthansa su Ita). L’agenda Draghi, incidentalmente, era però anche l’agenda con cui Pd e Terzo polo si sono candidati alle ultime elezioni e di fatto, nei primi tre mesi di governo, l’agenda Meloni si è sovrapposta all’agenda di alcuni partiti avversari. Non è un caso che il segretario del Pd Enrico Letta abbia detto che Meloni è una politica capace (d’altronde, il suo governo sta portando avanti una parte del programma elettorale del Pd e persino sull’autonomia differenziata, tema molto divisivo a destra, il probabile futuro segretario dem, Stefano Bonaccini, sembra avere meno dubbi di Forza Italia).

 

E allo stesso tempo, non è un caso che il così detto Terzo polo (oggi forse Quarto o Quinto polo) abbia inviato prima del caso Cospito segnali di amore insistenti verso il ministro della Giustizia Carlo Nordio (sull’agenda giustizia, Cospito a parte, la linea Nordio intercetta parte dei consensi del centrosinistra). Sulla giustizia, poi, Meloni è riuscita anche a impossessarsi dell’agenda grillina, trasformando il caso Cospito in un’occasione buona per confondere le acque sul tema delle carceri (Meloni ha scelto di creare una simmetria che non esiste fra l’essere un criminale pericoloso ed essere meritorio del 41-bis, che è una restrizione delle libertà prevista nell’ordinamento giudiziario riservata non ai criminali pericolosi ma a quelli in grado di dare  senza ombra di dubbio ordini all’esterno) e per rivendicare la necessità da parte dell’Italia di difendere ogni forma di carcere duro (non solo il 41-bis ma anche quello che fa a pugni con la Costituzione, come il carcere ostativo).

 

E nel farlo, neanche a dirlo, Meloni, in questo caso, si è impossessata dell’agenda del Movimento 5 stelle, al punto da avere reso inutile ascoltare su questo tema le parole del leader del M5s: agenda condivisa e sintonia perfetta. La vera influenza di Meloni di cui si dovrebbero occupare gli avversari non è quella che riguarda il suo raffreddore, ma è quella che riguarda la capacità camaleontica della premier di trasformare la sua incoerenza in un’occasione utile per esercitare la sua influenza (abbiamo detto influenza?) e rubare qua e là dalle agende dei partiti rivali. Un’attività complessa, per ora di successo, che può però costare fatica e che può offrirci elementi utili, ma non seriosi, per dare una lettura politica a un raffreddore.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.