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l'analisi

Cara Meloni, non bisogna aver paura dell'incoerenza

Claudio Cerasa

Accise, Mes, Unione europea. Rimuovere le pessime idee del passato è un’opportunità politica per la presidente del Consiglio

È uno spettacolo semplicemente meraviglioso osservare il governo Meloni mentre ogni giorno cerca un modo per raffinare la sua tecnica in una disciplina in cui l’attuale presidente del Consiglio è diventa primatista mondiale. Una disciplina molto delicata, che Meloni ha però scelto con coraggio di portare sotto le luci della ribalta: il tuffo carpiato con salto mortale, doppio avvitamento ed elevato coefficiente di incoerenza. Una disciplina che ha un fattore di difficoltà molto elevato ma che nonostante tutto, anche con discreta scioltezza, la presidente del Consiglio, come si è visto anche sulla partita delle accise, è finora riuscita a eseguire senza deludere particolarmente i suoi spettatori. La particolarità delle esecuzioni di Meloni è che da mesi la suddetta atleta compie le sue spericolate acrobazie negando però la difficoltà della sua performance e così ogni volta che qualcuno fa notare a Meloni la complessità degli avvitamenti si ritrova di fronte a una risposta più o meno di questo tipo: nessuna acrobazia, i miei tuffi sono lineari, senza avvitamenti, senza salti mortali.

 

La ragione per cui ci permettiamo di intervenire su questo tema, sul tema dei salti mortali di Giorgia Meloni, è che le acrobazie del presidente del Consiglio più che essere nascoste, celate, dissimulate, andrebbero una volta per tutte rivendicate con orgoglio e non più mascherate con vergogna. Meloni, in tre mesi di governo, ha scelto invece di seguire questa strada, la strada della dissimulazione, e la nostra fortissima preoccupazione è che a forza di dissimulare Meloni possa scegliere di tornare a una fase precedente, molto pericolosa: i tuffi con alto coefficiente di coerenza. Per l’Italia sarebbe un dramma e lo sarebbe anche per Giorgia Meloni.

E’ attraverso l’incoerenza, in fondo, che Meloni, più o meno un anno fa, ha costruito il suo primo tassello di nuova credibilità, quando, di fronte all’invasione dell’Ucraina, ha scelto di essere incoerente con il suo passato putiniano. E’ attraverso l’incoerenza, in fondo, che Meloni, durante la campagna elettorale, è riuscita a guadagnarsi il rispetto anche degli avversari, quando, parlando di politica estera, ha affermato di voler far propria l’agenda politica portata avanti da un primo ministro, Mario Draghi, che Giorgia Meloni ha sempre politicamente combattuto. E’ attraverso l’incoerenza, in fondo, che Meloni ha conquistato i mercati, nei primi mesi di governo, quando ha scelto di non cedere alla tentazione della manovra in deficit eccessivo, archiviando anni di demagogia sulla necessità di far crescere l’Italia attingendo a piene mani al debito pubblico. E’ attraverso l’incoerenza che Meloni ha messo in campo una strategia di indipendenza energetica competitiva, scommettendo sul price cap, e dunque sulla strada del volere più Europa e non meno Europa come Meloni chiedeva un tempo, e scommettendo anche incoerentemente sulle trivellazioni dei nostri mari, cosa che Meloni, in passato, ha sempre condannato, arrivando a schierarsi contro il referendum del 2016 con cui si propose di ridurre la distanza necessaria dalle coste per andare a pescare il gas nei nostri mari. E’ ancora l’incoerenza, poi, ad aver salvato Giorgia Meloni nei rapporti con la Commissione europea. 

 

Ed è strabiliante, come un salto mortale, essere lì a osservare la premier mentre difende un Pnrr che due anni fa non venne votato solo da un partito: proprio il suo, oh yes. E’ l’incoerenza, ancora, ad aver salvato Meloni da uno scontro con l’Europa sul tema dei pagamenti digitali, Meloni voleva eliminare le multe per i commercianti desiderosi di far pagare sotto i sessanta euro senza Pos, e sarà ancora il tuffo con doppio avvitamento e alto coefficiente di incoerenza a salvare Meloni su altre partite interessanti, che riguardano il presente. E’ stato così, naturalmente, anche sulle accise, Meloni aveva promesso nel 2019 che le avrebbe abbassate, ma alla prima occasione utile è stata costretta ad alzarle e lo ha fatto non in modo irresponsabile  perché, in un momento come quello in cui ci troviamo, ottimizzare le risorse, indirizzandole magari verso le famiglie e le imprese, con aiuti mirati, è un’idea migliore rispetto a offrire sostegni indiscriminati a tutti, anche a chi non ne ha bisogno. E’ stata incoerente sulle accise, dunque, dopo essere stata incoerente anche su un’altra grande promessa elettorale legata all’immigrazione, come il blocco navale, espressione che già dal primo discorso in Parlamento Meloni ha scelto di cancellare dal suo vocabolario:  “Se non volete che si parli di blocco navale lo dirò così: è nostra intenzione recuperare la proposta originaria della missione navale Sophia”, la più europeista delle missioni dell’Europa nel Mediterraneo, e lo dovrà essere, Meloni, anche su un’altra partita che a breve si andrà a manifestare in Consiglio dei ministri, la mitica ratifica del Mes (l’Italia, come sapete,  è l’unico paese europeo in cui il Mes fa capolino nel dibattito pubblico, ed è l’unico stato dell’Unione europea in cui il trattato europeo non è stato ancora ratificato). E’ uno spettacolo semplicemente meraviglioso osservare il governo Meloni mentre ogni giorno cerca un modo per raffinare la sua tecnica nei tuffi con salto mortale e doppio avvitamento, non solo perché è evidente che la destra nazionalista quando fa il contrario di quello che aveva detto fa quasi sempre la cosa giusta ma anche perché la destra che si ritrova a fare i salti mortali oggi sta offrendo un servizio importante al paese: mostrare quali sono i costi politici del populismo e mostrare cosa succede quando si trasforma il nulla in una battaglia politica identitaria. Cara Giorgia, grazie dello show, e nel nostro piccolo ti chiediamo, e ti scongiuriamo, di continuare così: doppio avvitamento ed elevato coefficiente di incoerenza, ancora a lungo, per il tuo bene e quello dell’Italia, grazie. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.