Dopo il cdm

Tra Eurostat e deficit, così Giorgetti tenta di mettere una pezza al Superbonus

Luciano Capone

Le nuove regole dell'ente europeo sulla contabilizzazione dei tax credit costringono il governo a bloccare la cessione dei crediti e a impedirne l'acquisto alle regioni. In questo modo mette in sicurezza i conti pubblici, ma apre un fronte con i costruttori

Il governo è stato costretto a intervenire, dice il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, "per bloccare gli effetti di una politica scellerata”. Ma il Superbonus è una misura talmente distorta che è necessario modificarla per evitare che i conti pubblici saltino per aria, ma è impossibile farlo senza produrre qualche danno. Il decreto approvato dal Consiglio dei ministri interviene per “mettere in sicurezza i conti pubblici”, bloccando la cessione di tutti i crediti fiscali e impedendo agli enti locali di comprarli, dopo che nelle ultime settimane le regioni di tutti i colori si erano lanciate in piani d’acquisto di crediti incagliati.

 

La necessità della stretta – osteggiata dall’Ance (i costruttori), dalle opposizioni (Pd-M5s)  e da settori della maggioranza (FI) – è dovuta all’imminente decisione, prima di Istat e poi di Eurostat, sulla qualificazione contabile dei tax credit che avrà un impatto sulla definizione del deficit. Se cioè imputare il costo del Superbonus tutto sul primo anno o spalmarlo su più esercizi. Secondo le regole del nuovo manuale di Eurostat se i crediti fiscali sono facilmente cedibili, differibili nel tempo e capaci di compensare molte imposte (praticamente l’identikit del Superbonus) vanno ritenuti payable, cioè molto simili a una spesa, e quindi contabilizzati integralmente nel primo anno anziché pro rata su più anni.

 

Dal punto di vista sostanziale non cambia nulla, il costo resta lo stesso, e alla fine del periodo di durata del credito d’imposta anche il livello di deficit e debito. Ma la modifica contabile comporta delle conseguenze. Che sono rilevanti non tanto per il passato, ma per il futuro e per come si intrecciano con le regole fiscali europee.  Paradossalmente, se l’Istat – come è probabile – dovesse definire per gli anni addietro come payable i crediti d’imposta, a cui sciaguratamente il governo Conte ha dato facoltà di illimitata circolazione, sarebbe tutto sommato una notizia positiva per il governo.

 

Perché vorrebbe dire che il peso degli oltre 100 miliardi di debito dovuti ai bonus edilizi verrebbe caricato sui bilanci del 2021 e del 2022, aumentandone il deficit. Di conseguenza, però, si ridurrebbe il disavanzo negli anni successivi su cui era spalmato il tax credit. Come detto, in sostanza non cambia nulla né sui tempi né sul totale di debiti da pagare, ma sul piano politico cambia molto. Perché apre uno spazio fiscale, che dal Mef viene calcolato in meno di 1 punto di pil, negli anni a venire proprio quando rientrerà in vigore il Patto di stabilità. Mentre un aumento del deficit per gli anni 2021 e 2022 non produce alcuna conseguenza, dato che in quel periodo le regole fiscali europee erano sospese.


Il problema, però, per il governo è evitare che i crediti fiscali del Superbonus vengano definiti payable anche nel 2023 e negli anni successivi perché questo, al contrario, restringerebbe anziché allargare i margini di bilancio. L’obiettivo, quindi, è che questa massa enorme di debiti – circa 50 miliardi più del previsto – venga contabilizzata in gran parte sugli anni passati, ma che per il futuro il flusso più contenuto di crediti d’imposta, date le restrizioni introdotte, venga spalmato su un arco temporale più ampio. Così l’anno prossimo Istat ed Eurostat, dopo aver preso atto della nuova normativa più stringente, dovrebbero catalogare le obbligazioni del Superbonus come non payable per il 2023.


In questo modo, Giorgetti pensa di risolvere una grana contabile, ma resta il problema sostanziale dei miliardi di crediti incagliati, che le banche non riescono ad assorbire avendo esaurito la capacità fiscale, e che rischiano di bloccare i lavori e far fallire molte imprese. Su questo il governo dovrà trovare una soluzione, che comunque mal si concilierà con le esigenze finanziarie e contabili su cui ha appena messo una pezza.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali