La bizzarra teoria del M5s su Superbonus e debito pubblico

Luciano Capone

“Genera deficit ma non debito”, dice il viceconte Mario Turco sul bonus 110%. Un'interpretazione surreale delle nuove regole di Eurostat sui crediti d'imposta, che riguardano la contabilità ma non la realtà economica. Un debito è un debito

In uno dei libri pubblicati dal compianto Guido Roberto Vitale, l’ex ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni citando un passo di Charles Dickens scriveva che “nel dibattito pubblico, specie in Italia, non si coglie il nesso tra debito e deficit”. In sostanza, spiegava Saccomanni, “non ci si può lamentare dell’alto debito e al contempo invocare più deficit”.

 

Da allora le cose sono peggiorate. Un esempio preclaro di questa dissonanza cognitiva è stato fornito, nei giorni scorsi, dai vertici del M5s che all’unisono hanno rilanciato una singolare teoria secondo cui il Superbonus produrrebbe deficit ma non debito. “Oggi Eurostat ha detto che Superbonus e crediti fiscali cedibili non generano debito pubblico”, ha dichiarato la vicepresidente del Senato Mariolina Castellone. Ma più di tutti si è scatenato Mario Turco, già sottosegretario di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, secondo cui dall’audizione al Senato dell’Eurostat sarebbe emerso che “la cessione dei crediti fiscali non genera debito pubblico”, ma “ha impatto solo sul deficit”, e pertanto “viene affossata la narrazione austeritaria e tecnocratica” secondo cui “Superbonus e bonus edilizi sono sempre e soltanto un costo”.

 

Sono affermazioni che non hanno alcun senso e che fanno discendere implicazioni reali dalla modifica dei criteri di contabilizzazione in seguito all’aggiornamento del manuale sul deficit e sul debito di Eurostat. In pratica, l’autorità che coordina i parametri statistici europei ha cercato di chiarire come registrare i vari crediti d’imposta a seconda che siano payable (pagabili) o non payable (non pagabili). Nel primo caso l’intera spesa riconosciuta dal governo deve essere contabilizzata nel primo anno, nel secondo caso pro rata negli anni successivi in base alla durata del credito fiscale. Resta ovvio che, in entrambi i casi, si tratta sempre di un debito (d’altronde se si chiama “credito” è proprio perché c’è un debitore).

 

Ma quali sono i criteri per definire un credito fiscale pagabile o non pagabile? Secondo il manuale di Eurostat sono tre: trasferibilità, differibilità e capacità di compensare molte tasse. Se il credito fiscale può essere ceduto tante volte, se il suo uso può essere spostato avanti nel tempo e se può essere utilizzato per ridurre il debito fiscale di molte imposte, allora è considerato “pagabile”. E pertanto deve essere registrato nel bilancio pubblico tutto in un solo anno, e quindi come deficit. In sostanza, quanto più è probabile che il tax credit non andrà sprecato tanto più sarà simile a una spesa, e perciò va contabilizzato allo stesso modo. Ciò, spiega Eurostat, modifica il modo con cui si calcola il deficit ma non quello del debito.

 

Si tratta semplicemente di una questione contabile. Nella sostanza non cambia proprio nulla: l’impatto economico è neutro. Dall’eventuale riclassificazione, su cui a breve si esprimerà l’Istat, emergerà un deficit più alto nel primo anno e più basso negli anni successivi. Ma alla fine del periodo, alla scadenza del credito, il costo della misura sarà lo stesso (72 miliardi al 31 gennaio) e così i livelli di deficit e debito. È come se si trattasse di decidere se lasciare una capricciosa intera o tagliarla in quattro pezzi: la decisione non influirà né sulla grandezza né sul costo della pizza.

 

Ma tanto è bastato al M5s per inventare la bizzarra teoria secondo cui il Superbonus “genera” deficit ma non debito (che in realtà non è altro che la somma dei deficit accumulati negli anni). Il viceconte Turco, che è pure professore di ragioneria, è arrivato a sostenere che se si contabilizza il Superbonus in un solo anno è una “spesa secca”, mentre se la si contabilizza su cinque anni la stessa spesa diventa un “investimento con effetto moltiplicatore” che produce un “ritorno”. È il moltiplicatore contabile, o contaballe. Ma l’unico ritorno che dovrebbe produrre è sui banchi di scuola.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali