Le regioni e l'assurdità di comprare i crediti del Superbonus coi fondi Ue

Luciano Capone

Dopo la provincia di Trevisto, Sardegna, Piemonte e tanti altri enti si lanciano nell'acquisto di crediti fiscali bloccati in aziende in crisi. Ma siccome servono soldi da anticipare, il M5s ha la geniale idea di usare i fondi strutturali europei

L’ultima paradossale trovata sul Superbonus è questa: la Pubblica amministrazione riacquista i propri crediti d’imposta con i soldi europei. Un inrteccio di perversione finanziaria e contabilità pubblica di cui è meglio che a Bruxelles nessuno si renda conto, ma che pare perfettamente razionale in un mercato completamente distorto da una misura malpensata e malfatta come il Superbonus.

 

In pratica, gli enti locali si stanno lanciando nel mercato dei crediti incagliati, come se fossero banche o intermediari finanziari, per dare una risposta alle aziende in sofferenza. Il mercato è inondato da decine di miliardi di crediti che non riesce ad assorbire, perché ormai le banche hanno esaurito la loro capacità fiscale, e perciò entrano in campo province e regioni. A fare da apripista è stata, a fine gennaio, la provincia di Treviso con una piccola operazione – realizzata con la consulenza di specialisti come Phinance Partners – di acquisto da un gruppo di banche locali di 14,5 milioni di ecobonus, che l’ente userà per compensare i propri debiti fiscali con l’Erario. Così le banche liberano capienza fiscale, le aziende trovano uno sbocco per i crediti bloccati, la provincia specula sul margine tra prezzo d’acquisto e valore facciale. E tutti vissero felici e contenti.

 

L’operazione pilota della provincia di Treviso ha scatenato gli animal spirits delle amministrazioni locali, che pensano di aver trovato l’uovo di Colombo per risolvere a costo zero – con un semplice schema di ingegneria finanziaria – il problema di molte imprese che hanno in pancia un sacco di crediti che non sanno a chi cedere. Senza distinzione geografica o di colore politico, tutte le regioni si sono lanciate in investimenti analoghi. Una delle prime è stata la Sardegna, guidata dal centrodestra, che ha approvato nella sua legge finanziaria un emendamento del M5s. La giunta di Christian Solinas stima di poter compensare 40-50 milioni di euro al mese solo riferiti all’Iva, ma “si sta valutando l’ipotesi di attivare il piano abbracciando l’intero sistema-Regione, non solo l’Amministrazione ma anche le Agenzie, in maniera tale da aumentare la massa a disposizione”.

 

Nella stessa direzione si è mosso il Piemonte, anche se con un piano meno ambizioso: per il momento il presidente Alberto Cirio intende acquistare da banche e intermediari finanziari crediti di imposta per 50 milioni annui. Anche la Basilicata sta facendo due conti per capire quante risorse stanziare. Ma a cascata c’è un pressing in tutte le altre regioni, su iniziativa di tutti i partiti. In Sicilia è il Pd che chiede l’istituzione di un fondo che “acquisisca i crediti vantati dalle imprese, agevolando così il sistema produttivo e andando incontro all’intero settore”. In Puglia si è mosso il Terzo Polo, che ha chiesto a Michele Emiliano una ricognizione della “capacità di compensazione annua mediante modello F24” della regione, precisando che “l’acquisto dei crediti dovrà  avvenire a un prezzo non superiore al valore nominale del credito” (evidentemente c’è addirittura il pericolo che venga pagato di più, meglio specificare). Ma la forza politica più attiva su questo fronte è il M5s, che sta presentando proposte identiche in tutte le regioni, a partire dal Lazio dove  è in piena campagna elettorale fino alla Campania.


La proposta del M5s è interessante perché aggiunge ulteriori elementi di perversione finanziaria. Il piano si articola in tre punti. Il primo è l’istituzione di una “piattaforma elettronica” per “mettere in contatto domanda e offerta” al fine di agevolare la circolazione dei crediti (si tratta in sostanza, di bypassare il circuito bancario che al momento controlla e certifica i crediti che sono a rischio frode). Il secondo è l’acquisto dei crediti da parte della regione e dei suoi enti strumentali (anche in questo caso “a un prezzo non superiore al valore nominale del credito”). Il terzo è quello di istituire una garanzia regionale sui crediti invenduti, per consentire alla aziende che ce li hanno in pancia di ottenere finanziamenti dalle banche. Così, con la sola garanzia, senza che si capisca chi e come compensi questo credito bloccato, apparirebbe nuova liquidità.

 

Ma la creatività finanziaria, come accennavamo all’inizio, qui è un’altra. Siccome le regioni devono pur sempre anticipare l’intero capitale, che potranno compensare solo in un arco di 4 anni; e siccome sono soggette ai vincoli di bilancio e la proposta prevede uno stanziamento di 400 milioni di euro solo in Campania, da dove escono fuori i soldi? “Dalla programmazione comunitaria 2021-2027”, ovvero dai fondi europei di coesione. 

 

Si può sintetizzare la vicenda così: la Pubblica amministrazione ha speso talmente tanti crediti fiscali – quasi 72 miliardi di solo Superbonus, 120 miliardi considerando tutti i bonus edilizi – che il mercato non li riesce ad assorbire; per questa ragione la Pubblica amministrazione, attraverso sue propaggini territoriali come province e regioni, ritira dal mercato i suoi crediti riacquistandoli; ma siccome non ha liquidità per questa operazione finanziaria, decide di usare i fondi strutturali dell’Unione europea destinati alla transizione e agli investimenti. La ciliegina su quella torta avariata che è il Superbonus.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali