Giorgia Meloni (Ansa)

A Milano

Uniti ma non troppo. Il centrodestra si ricompatta su Fontana, ma restano le incognite

Ruggiero Montenegro

"Bugie su di noi", dice Meloni durante la chiusura della campagna elettorale in Lombardia. Elogia gli alleati (che ricambiano) e rivendica l'unità della maggioranza. Ma dal caso Donzelli a Fazzolari, non mancano i malumori in FI e Lega. Sullo sfondo c'è anche la partità della sanità lombarda

L'obiettivo, probabilmente centrato, era quello di mostrarsi compatti. Tanto che Meloni, Berlusconi e Salvini hanno concluso la serata con una cena in favor di telecamera in centro a Milano. Uniti per allontare le perplessità delle ultime ore, dopo giorni di tensioni e malumori sotterranei tra alleati. Dichiarazioni a mezza bocca, dal caso Cospito - si legga Donzelli&Delmastro - a quello che ha coinvolto il sottosegretario Fazzolari. La maggioranza si è ritrovata ieri al Teatro dal Verme di Milano, l'occasione era la chiusura della campagna elettorale di Attilio Fontana per le regionali della Lombardia, del prossimo 11-12 febbraio. C'erano tutti i leader, una rappresentazione plastica dell'unità di intenti, della compatezza ritrovata, in un continuo rimpallarsi di complimenti, di dichiarazioni di fiducia e stima reciproca. 

Giorgia Meloni alterna i panni della premier a quelli della leader di partito. Uno schema già visto a Roma per Francesco Rocca qualche giorno fa, Se la prende con chi "vuole rifilarci la farina di grillo" e poi rivendica le scelte del suo governo, dalla riforma della giustizia evocata dal ministro Nordio all'Autonomia, tanto cara a Matteo Salvini. Di Berlusconi dice che è "il miglior ministro degli Esteri che questa nazione abbia avuto". Il Cav. ricambia dal palco: "E’ una persona di grande trasparenza, gentile e di una capacità assoluta, brava Giorgia!”. 

Poi la presidente del Consiglio punta il dito contro una parte della stampa, quella che racconta "bugie su di noi". E' lo stesso mantra ripetuto da Salvini - "Lupi, Berlusconi e Meloni sono amici, non solo colleghi" - e dallo stesso leader di Forza Italia: "Cercano di divederci, ma non ci riusciranno mai". Meloni allora si appella agli elettori, va oltre i media e il candidato Fontana, chiede in sostanza un giudizio sui primi cento giorni a Palazzo Chigi: "Diteci con il voto qual è l’Italia e cosa l’Italia pensa davvero". E non cosa inventano i giornali, è il sottotesto.

Ma se la vittoria di Fontana appare quasi scontata, è prorio nel risultato delle urne che si nascondo le insidie per la premier. Perché contano anche i voti alle liste e ai partiti, e una vittoria troppo netta della sua forza politica - alle scorse politiche FdI è arrivata al 28 per cento, la Lega al 13 e FI quasi all'8 - preoccupa, e non poco, gli alleati. Non è un mistero inoltre che le uscite di Donzelli e Delmastro, l'uso politico delle informazioni riservate, non sia stato gradito in particolare da Forza Italia. Frizioni che si sono poi concretizzate nella scelta della presidenza del Giurì d'onore chiamato a fare luce sul caso, nel veto sul vicepresidente della Camera forzista, Giorgio Mulè (non a caso alla fine è stato scelto il grillino Costa). E non è un segreto nemmeno il timore di Berlusconi per una coalizione che sposta il baricentro sempre più a destra, al punto che il Cav, pare, avrebbe preferito la terzopolista Moratti. 

Mentre, l'altro alleato di Meloni, Salvini, a proposito dell'idea del tiro a segno nelle scuole - la presunta proposta di Fazzolari -, diceva che non è un’idea “illuminata, con tutto l’amore e il sostegno al tiro sportivo”. Stamattina ha provato a mettere una pezza: "Ha smentito e credo a lui", le parole del ministro delle Infrastrutture. Un segnale anche questo. Coalizione compatta, ma non così compatta. Il sospetto è che dietro ai sommovimenti nel Carroccio ci sia un'altra partita, interna alla Lombardia ma pronta a riflettersi sugli equilibri romani: quella sulla Sanità al Pirellone, con FdI che rivendica per sè la scelta dell'assessore - si parla di Romano La Russa, fratello del presidente del Senato, di cui tuttavia la Lega farebbe volentieri a meno. 

La serata di ieri ha sancito la tregua e rasserenato gli animi, prima della volata finale. Ma i risultati di lunedì, potrebbero scombinare un'altra volta gli equilibri, anche in vista della partite delle nomine locali. La competizione tra gli alleati è solo rimandata. Insomma: uniti sì, ma non troppo.