Il caso

Meloni punta al 30 per cento in Lombardia e nel Lazio. Poi scatterà il congresso di FdI

Simone Canettieri

La leader della destra vuole giunte monocolori o quasi nelle due regioni al voto. In mezzo il rapporto con gli alleati e la consapevolezza di dover ristrutturare il partito sempre più litigioso

Quota trenta.  Giorgia Meloni non punta solo a vincere le regionali nel Lazio e in Lombardia. Se le urne domenica e lunedì le daranno ragione come crede, alla fine dalle giunte di Francesco Rocca e Attilio Fontana usciranno dei monocolori, o quasi, di Fratelli d’Italia. Il tutto a discapito degli alleati principali, Lega e Forza Italia, che rischiano di uscire con le ossa rotta. Con tutte le ripercussioni del caso su Palazzo Chigi, forse. In Via della Scrofa, sede del partito di governo, chi dalla nascita è molto vicino alla leader,  sintetizza così la faccenda: “Sapremo gestire il potere, non umilieremo  gli alleati: non faremo i coatti”.

Traduzione dal romanesco: non saremo superbi, tracotanti, supponenti. Ci sarà da ridere con le scelte degli assessorati, visti i rapporti di forza squilibrati. Nel Lazio i meloniani  lasceranno le briciole agli altri, in Lombardia hanno già prenotato vicepresidente, Sanità e presidenza del consiglio regionale. E oggi la premier vola a Milano.  


Al teatro Dal Verme riecco insieme Maurizio Lupi, Matteo Salvini, forse Silvio Berlusconi e appunto la premier Meloni. Si parte dalle politiche dello scorso settembre quando Fratelli d’Italia incassò uno storico 28, 5 per cento, con il Carroccio al 13,5 e gli azzurri al 7,9. La candidatura di Letizia Moratti è destinata a rosicchiare consensi al Cav. Così come è tutta da vedere la resistenza di Salvini in quello che fu il suo feudo.

Dalle parti del ministro delle Infrastrutture però sembrano essersi messi l’anima in pace. Comunque vada esprimerà il presidente e continuerà a governare seppur da socio di minoranza. “Fontana prenderà il 50 per cento”, preconizza infatti Salvini. Discorso diverso e più delicato per Forza Italia: andare sotto il 6 per cento farebbe scattare al partito di Berlusconi solo un assessore. Il possibile declino forzista è un argomento che agita Arcore. E che va dissimulato e negato. 

Francesco Lollobrigida, plenipotenziario di FdI, non vede rischi di tenuta. Venerdì sarà a Milano per motivi legati al dicastero dell’Agricoltura: “Mi sento come Cincinnato”, scherza. Ma poi si fa serio: “Per noi l’importante è vincere bene come coalizione, non stravincere come partito. Poi – dice al Foglio – è normale che i successi della coalizione sono soprattutto i successi di chi la guida, dunque di Giorgia”. 

Nel Lazio, dove è in corso una guerra fratricida a Roma con tanto di commissariamento della federazione, si parla comunque di oltre venti consiglieri regionali di FdI destinati a elezione certa. Anche in Lombardia c’è un certo fermento interno. Da una parte Marco Osnato, dall’altra Carlo Fidanza e poi il deus ex machina meneghino Ignazio La Russa che fa tandem con Daniela Santanchè, ministra e coordinatrice regionale. “Siamo il traino della coalizione – dice la titolare del Turismo – ormai se ne sono accorti tutti. Ma con un occhio sempre agli equilibri del centrodestra”. E le rivalità interne? “Normali dinamiche da partito in espansione”, spiega ancora Santanchè. La salita sul “carro della Nazione” c’è stata anche qui: a partire da Marco Bestetti, già responsabile dei giovani di Forza Italia e in lizza per il Pirellone con FdI. Ad altri, come all’ex sindaco di Monza Dario Allevi, è stato chiesto un sacrificio sempre per lo stesso motivo: non fagocitare troppo l’elettorato di FI. Viste da Via della Scrofa, quartier generale meloniano, sono le preoccupazioni che tutti vorrebbero avere. “Se in Lombardia superiamo il trenta per cento mi ubriaco anche se sono quasi astemia”, scherza, ma non troppo, Santanchè, consapevole di avere un ruolo conteso nella tribù lombarda di FdI, sempre più grande.


E qui entra in campo lei, la capa della destra italiana. Meloni è convinta che alla fine non ci saranno ripercussioni sul governo dopo le regionali. Salvini si è già adeguato al ruolo di comprimario e Berlusconi, secondo i vertici di FdI, non ha alternative. “Fossimo in quelli di Forza Italia staremmo attaccati a Giorgia come una cozza allo scoglio per i prossimi cinque anni”, dicono a Roma i ministri della Fiamma magica. Tuttavia la premier ha davanti a sé diverse sfide e la consapevolezza che il suo partito, cresciuto a vista d’occhio nel giro di una legislatura, ha bisogno di una maggiore strutturazione. Ci sono le faide, molti ministri hanno il doppio ruolo sui territori, i sottosegretari non riescono più a seguire i dipartimenti. Ecco perché, passate le elezioni, nell’agenda di Giorgia è apparsa un’altra parola: congresso. Se ne parla sempre di più. L’ultimo ci fu nel 2017 a Trieste. Il prossimo è dato come imminente forse già prima dell’estate. Sarà una modo per sedare liti e dare profondità al partito. Sempre con un’unica consapevolezza: ci sarà una sola candidata alla presidenza. Indovinate come si chiamerà?
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.