La decisione

Il Pd rinvia la costituente a dopo il congresso per evitare scissioni

Gianluca De Rosa

Durante un incontro organizzato da alcuni dirigenti al Nazareno i tre candidati alla segreteria danno il loro via libera al rinvio della costituente dopo le primarie per la scelta della nuova leadership. Sulla nuova carta dei valori però la resa dei conti è solo rinviata

C’è solo un modo per evitare che il Pd imploda, per scongiurare scissioni o settari ritorni al passato: ritardare il più tardi possibile il momento in cui i dirigenti dem dovranno dire che cos’è oggi il partito. Sembra un po’ questa la morale di quanto è accaduto ieri: la nuova identità del Pd si deciderà dopo il congresso. Eppure Enrico Letta dopo la batosta elettorale dello scorso 25 settembre aveva deciso che era giunto il momento di definirsi di nuovo. Aveva lanciato il congresso, ma con tempi lunghi. Non prima di aver celebrato una nuova fase costituente, un grande momento di ragionamento collettivo per  “redigere il Manifesto dei principi e dei valori fondanti del partito, a partire dalle positive intuizioni del manifesto della fondazione”. Per farlo la direzione dem ha nominato un comitato di saggi composto “da personalità iscritte e non iscritte al Pd”. La questione però è diventata più esplosiva della contesa per la segreteria. Superare il Lingotto o no? Abiurare “una carta ordoliberista” o aggiornarla senza  troppe modifiche sostanziali? Queste domande hanno messo in crisi una comunità, l’hanno spaccata in due. Prima la riunione dei popolari del partito, capeggiati da Pierluigi Castagnetti, “pronti a trarre le dovute conseguenze” qualora “dovesse cambiare la natura del partito”. Poi, le dimissioni di Luigi Zanda dal comitato dei saggi. Ancora ieri, la dura intervista rilasciata  a Repubblica da uno degli ideatori dell’Ulivo, Arturo Parisi, contro due ex dc, come Dario Franceschini ed Enrico Letta, che starebbero riportando “il Pd alla Livorno del 1921”, in riferimento al congresso del Psi che terminò con la scissione e la nascita del Pci.


 Al Nazareno dunque ieri un gruppo di dirigenti dem  – Stefano Ceccanti, Graziano Delrio, Walter Verini, Debora Serracchiani, Marianna Madia – ha cercato di sminare il campo. Nella sala David Sassoli sono stati invitati l’attuale segretario e i tre candidati, Stefano Bonaccini, Elly Schlein e Paola De Micheli, per cercare di unire tutti intorno a un documento dal titolo esplicativo “Per una vera fase costituente”. Un testo per ribadire “l’attualità  dell’intuizione democratica che ha riunito le diverse culture riformiste: socialista, liberale e cattolica”, ma soprattutto per chiedere una cosa: rinviare a dopo il congresso la fase costituente, pregando i candidati di “non trascinare nella legittima competizione  i principi identitari del Pd”.  I tre candidati hanno dato il loro via libera al rinvio ed Enrico Letta ha offerto la sua disponibilità ad “accompagnare questo processo”. Le regole che erano state stabilite dalla direzione a ottobre, dunque, saranno sostanzialmente ribaltate: prima il congresso, poi la fase costituente che sarà  gestita dalla nuova Assemblea del partito. E però la sensazione è che i problemi, acuiti dall’ala sinistra  di Andrea Orlando e Goffredo Bettini, la più agguerrita a chiedere una modifica sostanziale della carta dei valori, siano stati solo rinviati. Lo si è capito subito quando sono intervenuti i tre candidati.

 

Bonaccini ha ribadito: “Sento ogni tanto nel dibattito interno  la contrapposizione tra capitale e lavoro come se fossimo all’inizio del secolo scorso. Avverto pulsioni al cambiamento con connotati regressivi che contrasterò perché segnerebbero la fine del Pd, e ci porterebbe su binari minoritari, come è già successo in altri paesi ”. Mentre Elly Schlein, la candidata temuta dai moderati del partito, ha cercato di dare alcune rassicurazioni: “Io sono una nativa democratica”, ha detto per sottolineare come, per ragioni anagrafiche, non provenga dalla genealogia comunista. “Non siamo qui per fare una resa dei conti identitaria, ma costruire il nuovo Pd, salvaguardando il suo prezioso pluralismo ma, al contempo, non rinunciando più ad avere una visione chiara, un'identità che è comprensibile alle persone che incrociamo”. Equilibrio complesso. “Il nostro obiettivo – ha aggiunto – deve essere come cambiare un modello di sviluppo che non funziona più e che si alimenta delle diseguaglianze e consuma in maniera insostenibile il pianeta”. Saranno tutti d’accordo? Il campo insomma sembra sminato solo temporaneamente. Terminato il congresso, quando una delle due parti avrà vinto, sarà complicato rinviare ancora. Dal canto suo Schlein ha assicurato: “Non è compito di noi candidati entrare nel lavoro della costituente”, ma ha anche ribadito: “Però facciamola fino in fondo questa discussione, il mondo fuori è cambiato”. Orlando e Bettini, costretti forse a sostenerla (ma non si esclude l’ipotesi Gianni Cuperlo), sul cambio della carta dei valori  giocheranno la loro partita.