Luigi Zanda (LaPresse)

L'intervista

“Quella del Pd non è una vera Costituente, per questo mi dimetto. I popolari? Basta con le scissioni”. Parla Zanda

Ruggiero Montenegro

"Definire la natura di un partito è un problema di grande profondità. La discussione dovrebbe iniziare dalla base, passare per i circoli e poi arrivare all'Assemblea. Castagnetti? Non interpreto le sue parole. I dem hanno subito già quattro spaccature, sarebbe meglio fermarsi", dice l'ex tesoriere

Non condivide "radicalmente" il metodo, i tempi e nemmeno il vocabolario. Per questo ha deciso di fare un passo indietro: “Ho rassegnato le mie dimissioni”. Luigi Zanda non farà più parte del comitato dei cosiddetti saggi – erano 87, adesso si vedrà – chiamati a riscrivere il manifesto del Partito democratico, sulla faticosa via che porta alle primarie di febbraio. Una scelta annunciata ieri che segue di qualche giorno quella analoga dello scrittore Maurizio De Giovanni.

“Il problema della natura di un partito riguarda la sua linea politica, il modo in cui si compongono le liste elettorali e le alleanze: sono problemi di grande profondità”, spiega oggi al Foglio lo storico tesoriere della sinistra: “C'è bisogno di tempo per affrontarli. Sarebbe stato meglio fare una conferenza nazionale, lunga anche un anno”. E invece il meccanismo imbastito dal segretario Enrico Letta insieme ai suoi dirigenti non tiene conto di certe specificità, delle contingenze di questa fase politica e delle problematiche del partito.


È una critica emersa anche nel corso dell’assemblea dei Popolari, a cui ha partecipato lo stesso Zanda, che si è  tenuta lunedì a Roma. L’ha organizzata Pierluigi Castagnetti, di cui sono noti gli stretti rapporti con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Una ragione in più per pesare bene le parole. È stato tra le altre cose segretario del Partito popolare italiano, prima di essere capogruppo in Parlamento con la Margherita e soprattutto tra i fondatori del Partito democratico. “Se il Pd cambiasse la sua natura, allora i popolari ne trarrebbero le conseguenze”, ha avvertito Castagnetti aprendo l’incontro. Da un lato sottolineava la preoccupazione che i dem possano virare troppo a sinistra, dimenticandosi delle altre anime politiche che compongono il partito. Dall’altra, i rischi legati a un percorso troppo frettoloso, che non muove da un’analisi davvero compiuta degli esiti elettorali e degli effetti di un risultato deludente.

Timori che si ritrovano in buona parte anche nella lettura di Zanda: “Il processo andrebbe ben istruito. Dovrebbe iniziare dalla base, passare per i circoli, prima di arrivare all’Assemblea. Bisognerebbe avere un progetto di dibattito, come si scelgono le persone e il gruppo di discussione. Come si determina alla fine la linea politica”. Dovrebbe essere insomma una vera Costituente, definizione di cui tuttavia si finisce spesso per abusare tra i corridoi del Nazareno.

E infatti: “Non mi piace venga usata la parola Costituente”, dice l’ex senatore, secondo cui quel termine finisce per assumere una connotazione impropria, che non descrive affatto quanto sta accadendo nel Partito democratico. “E’ bene che venga richiamato con riferimento alla vera Assemblea costituente. In quel caso si trattava di un organismo eletto, con regole e tempi per discutere davvero. E invece noi, nel Pd, con poche settimane da qui al 19 febbraio e con il Natale di mezzo, non possiamo certo esaurire un tema così complesso. Si è capito già dalla prima riunione del comitato e da qui deriva il mio passo indietro”.

Oltre a questo, ricostruisce l'esponente dem, “ci sono fattori esterni a complicare le cose”. Quali? “Intanto il dibattito avviene mentre i candidati per le primarie presentano le proprie piattaforme. In più ci sono le elezioni in quattro regioni, di cui due molto importanti come Lazio e Lombardia”. Scadenze che tuttavia erano note, così come lo era il contesto burrascoso in cui si muove il Pd. Non  proprio una novità di queste ore. Sembra di capire insomma che forse l’analisi di Letta e le conseguenti decisioni congressuali siano state un po’ troppo avventate. “Io rispetto le decisioni del partito, non ci sto a distribuire responsabilità”, ribatte Zanda.

Eppure, dopo l’insofferenza mostrata dalla parte più liberale dei dem, anche dall’incontro dei Popolari sono emersi segnali e critiche molto chiare. In tanti hanno interpretato l’intervento di Castagnetti come la minaccia di una nuova scissione. Anche Zanda? “La parola scissione io non l’ho sentita e non voglio mettermi a interpretare le parole”, è la risposta a metà tra esperienza e diplomazia. Ma la storia del Pd è quella che è, la tendenza a dividersi è più di una passione, una specialità. “Ma a me le scissioni non sono mai piaciute. Il Pd ne ha avute quattro in quindici anni, di cui due molto sanguinose. Sarebbe meglio fermarsi”.