Verso le Regionali
Campo largo Majorino. Ritratto del candidato Pd (con accordo contiano) in Lombardia
Il primo incarico con Livia Turco, i convegni sui diritti umani (no Qatar), le periferie, il ping pong, i ghetti. Quarantanove anni, un figlio, tre decenni di impegno politico, dalla Fgci a Bruxelles, passando per due giunte
Succede a Milano quello che a Roma per alcuni è ancora miraggio: la materializzazione dell’accordo tra Pd e Cinque Stelle attorno a una candidatura per le elezioni regionali. E in terra lombarda, dove pure si era a un certo punto profilata tra sinistra e centro una corsa a tre (tra Pierfrancesco Maran, poi ritiratosi dalla contesa, l’“intrusa” Letizia Moratti e Francesco Majorino), alla fine sono rimasti in campo Moratti e Majorino, già eurodeputato Pd e assessore nella giunte Sala e Pisapia, nonché uomo sul cui nome, giorni fa, Giuseppe Conte ha detto quello che è parso infine un “sì”, tanto che ieri si è svolta, fino alle 22, la consultazione di ratifica tra gli iscritti del M5s: volete voi l’alleanza con il Pd sul nome di Majorino? (Al momento in cui è andato in stampa questo giornale le votazioni erano ancora in corso, ma a urne ancora aperte l’ex ministro m5s Danilo Toninelli ha comunicato il suo niet, anche alludendo “agli scandali a Bruxelles”, viste le accuse che piovono sull’ex europarlamentare Antonio Panzeri, ex esponente Pd poi passato ad Articolo 1).
Il candidato Majorino, intanto, sulla questione Qatar è intervenuto dicendo che il Pd “non può far finta di nulla e parlare di diversità morale smarrita”. D’altronde il tema interroga scomodamente la sinistra: il vicesegretario dem Giuseppe Provenzano, infatti, qualche giorno fa, come ha riportato la Stampa, ha contestato l’ex premier Massimo D’Alema, proprio in questo momento impegnato sul fronte delle consulenze internazionali (si pensa infatti D’Alema abbia favorito i contatti tra un gruppo di imprenditori qatarini e i vertici della raffineria Lukoil di Priolo, messa a dura prova dalla guerra russo-ucraina). “A proposito di Qatar, una nota a margine”, ha detto Provenzano: “Non c’entra con la vicenda a dir poco orribile dell’Europarlamento, ma vedere ex leader della sinistra fare i lobbisti in grandi affari internazionali non è solo triste, dice molto sul perché le persone non si fidano, non ci credono più”. Fatto sta che Majorino dei paesi del Golfo ha parlato circa un mese fa, quando, da Bruxelles, ha presieduto un convegno on line sui diritti umani (“Behind bars: when the law is turned into repression. The case of Egypt, Saudi Arabia and United Arab Emirates”).
Perché non parlare anche del Qatar?, si sono domandati alcuni osservatori. Fatto sta che oggi è un altro giorno, di Qatar si parla fin troppo e il compito assegnato a Majorino è quello di traghettare se possibile il centrosinistra oltre la sconfitta elettorale di settembre, dando speranze al Pd nella terra lombarda dove la sindacatura di Beppe Sala ha fatto ben sperare gli speranzosi che vedono una continuità di nome (quello appunto dell’ex assessore). Ma non i pessimisti che ora scorgono nell’asse eventuale Majorino-Conte un macigno sulla via della costruzione di un centrosinistra riformista, anche competitivo a livello nazionale, specie dopo il ritiro della candidatura Maran (e anche se Maran, una volta ritiratosi, ha dichiarato totale sostegno per Majorino).
Ma quale sarà la strategia di Majorino, ex assessore alle Politiche Sociali nelle giunte Pisapia e Sala e uomo dall’esperienza trentennale nel campo della sinistra, nonostante non abbia ancora cinquant’anni? Si dà il caso infatti che colui che è stato soprannominato (in alcuni ambienti milanesi) istantaneamente e scherzosamente “Suola”, per via dell’auto-slogan da candidato “ora dobbiamo consumare la suola delle scarpe e cogliere la spinta del civismo”, abbia un curriculum che affonda nella storia della sinistra locale, prima ancora che il Pd nascesse. Il quarantanovenne Majorino, infatti, padre di un figlio pre-adolescente, campione di preferenze nel 2016, a circa vent’anni era già presidente nazionale dell’Unione degli Studenti e della Rete studentesca. A circa venticinque lavorava con l’allora ministro Livia Turco come consigliere del Dipartimento Affari Sociali della presidenza del Consiglio (governo D’Alema), e tra il 2004 e il 2007 è stato segretario cittadino degli allora Democratici di Sinistra, per poi sedere in consiglio comunale (all’opposizione) nella giunta Moratti. Conosce quindi tutti i protagonisti della politica lombarda di ieri e di oggi, Majorino, ma nella versione precedente a oggi (“la cosa potrebbe servigli parecchio”, commenta un collega di partito radicato sul territorio). Da assessore nella giunta Sala, Majorino, impegnato in tema di povertà, infanzia e diritti, ha istituito il registro delle Unioni civili e il registro delle Dichiarazioni anticipate di fine vita, per poi creare la Casa dei Diritti per l’assistenza contro la discriminazione per sesso ed etnia. Quest’anno ha pubblicato il libro “Sorella rivoluzione” (ed. Mondadori) in cui la povertà e la marginalità vengono affrontate dal punto di vista di un gruppo di suore educatrici (che vivono “ai margini della metropoli” e si battono contro “muri e ghetti”, scrive il candidato alla guida della Regione Lombardia). Donne ispirate da sogni e ideali di giustizia sociale, unite in “un’avventura di sorellanza” e raccontate da un politico che di questione sociale e immigrazione ha scritto in precedenza con Aldo Bonomi (“Nel labirinto delle paure”, 2018, ed.Bollati Boringhieri). E oggi Majorino si dice pronto a renderla in qualche modo inoffensiva, la paura, anche se si tratta di una paura diversa, quella di non essere più incisivi sul piano elettorale: “Majorino”, dice un esponente pd lombardo, “ci ricorda spesso che non possiamo più fare i leoni all’opposizione per poi dire le cose a voce bassa quando si va a governare”.
Sia come sia, l’amico scrittore Giuseppe Genna, nel 2016, invitava a votarlo raccontandolo come “persona pulita, realista e sognatrice” e giocatore filosofico di ping pong (pare che, vincendo una partita, l’attuale candidato si soffermasse infatti a contemplare la pallina che giaceva su un letto di aghi di pino dicendo che “vincere al gioco non è bello del tutto, perché c’è chi perde”, cosa che non vale al contrario in politica, direbbe forse oggi Majorino, di fronte al risultato ottenuto nelle urne dal Pd tre mesi fa). In ogni caso, dai tempi del ping-pong, Majorino non ha cambiato idea sul fatto di volersi candidare in loco: “Roma è una brutta bestia” era e resta un suo convincimento. Ma a Roma il candidato alla poltrona di governatore lombardo ha studiato Sociologia, dopo un diploma milanese in un istituto tecnico e dopo essersi molto impegnato dal basso nell’allora Fgci. “Fissato con tutto ciò che gravita fuori dalla cerchia dei Navigli”, dice un ex assessore, Majorino è cresciuto non lontano dal centro, in zona corso Lodi. “In caso di vittoria aprirò un ufficio nelle case popolari”, ha detto non a caso a Radio Immagina, qualche giorno fa, anche ribadendo il no assoluto a un accordo con Moratti: “Se anche facessimo un accordo con la candidata del terzo polo alle regionali del 2023 in Lombardia, tantissimi elettori di centrosinistra comunque non ci seguirebbero, quindi accadrebbe la cosa peggiore di tutte: non solo perderemmo con Fontana, ma perderemmo con Fontana sostenendo la Moratti, che sarebbe il punto più alto della crisi possibile”. Questione di punti di vista (“nel Pd lombardo non tutti la pensano così”, dice un insider). Tanto più che ora Majorino si è sbilanciato sull’altro lato, verso il dialogo con i Cinque stelle. E le differenze di vedute sull’Ucraina? “Non mi imbarazzano”, dice il candidato (che oggi interverrà alla conferenza programmatica del Pd): “Stiamo costruendo un’alleanza sulla Regione”, è dunque la frase che deve sembrargli (erroneamente?) l’antidoto alle polemiche.
storia di una metamorfosi