Foto di Mauro Scrobogna, via LaPresse 

Spazio Okkupato

Si è votato per non peggiorare le proprie condizioni, invece che per migliorarle

Giacomo Papi

Lo stato di salute elettorale ed emotivo della sinistra mi pare un indicatore della fiducia nel futuro di una società. E in queste ultime elezioni l'analisi è semplice: se il progresso non è possibile, è meglio non muoversi 

Domenica 25 settembre, intorno alle 17, ero in visita in una stanza d’ospedale del Policlinico di Milano, quando sono arrivati gli scrutatori per fare votare i malati. Dopo avere controllato documenti e tessere elettorali, hanno chiesto alle infermiere di piazzare un séparé tra i letti e a noi parenti di uscire per garantire la segretezza del voto. Mentre ce ne andavamo, ho fatto in tempo a vedere la compagna di stanza di mia mamma prendere la scheda, posare le labbra sul simbolo del Pd e sussurrare, con l’ironia rassegnata che solo un milanese può avere: “Fàss dà un basin, dài. Podaria vès l’ültim” (“Fatti dare un bacino, dai. Potrebbe essere l’ultimo”).

 

Dopo, mentre per il Pd si profilava il disastro, la signora Loredana, pasticciera di confine tra i quartieri Lambrate e l’Ortica, a Milano, ci ha raccontato di quando a vent’anni andava ad attaccare i manifesti del Pci “fino a mezzanotte e anche all’una”, ballava alle feste dell’Unità o cantava “Avanti popolo” per fare dormire il nipotino (che oggi studia per diventare pilota d’aerei). “È così triste che i nostri nipoti”, ha detto a mia mamma, “non abbiano avuto la fortuna di vivere un tempo così”. Perfino Giorgia Meloni, perfino Matteo Renzi, dovrebbero ammettere quanto è struggente, nell’ora in cui evapora, la speranza di eguaglianza e felicità che il partito comunista italiano rappresentò per milioni di persone.

 

Di fronte a questo tramonto estenuante il primo riflesso è cercare il colpevole, l’errore fatale, la dimenticanza decisiva. E così, sui quotidiani come sui social, ricomincia l’elenco – ancora più estenuante del tramonto – delle cose da cui la sinistra dovrebbe ripartire per rinascere: territori, idee, periferie, gente comune, povera gente, donne, giovani, comunità Lgbtq+, Cgil-Cisl-Uil, programma, alleanze, leader, comunicazione, operai, braccianti, rider, partite Iva, passato, presente, futuro, cuore, sorriso, nostalgia e speranza (ma non Speranza), pacifismo, questione morale, questione sociale, Sud, Nord, Marx, Lenin, Mao Tze Tung, Bersani, Prodi, Lingotto, Leopolda, Camaldoli, girotondi, diritti, pacs, ius scholae, ius soli. C’è solo l’imbarazzo della scelta (e a me mette sempre l’angoscia).

 

Per provare a trovare un bandolo, forse, sarebbe meglio chiedersi in che rapporto sia la crisi della sinistra – una crisi che non è solo italiana ma mondiale – con la traiettoria economica dell’occidente e la situazione attuale. Almeno in Europa, le sinistre sono cresciute quando l’economia cresceva e sono arrivate al potere, in Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia, nell’ultimo ventennio del Novecento, quando questa crescita sembrava infinita. Invece, sono entrate in crisi, una crisi di cui oggi non si vede la fine, quando la ricchezza dell’occidente ha cominciato a calare insieme alla fiducia nel futuro.

 

Al netto di tutti i gravissimi e innegabili errori e colpe dei dirigenti, lo stato di salute elettorale ed emotivo della sinistra mi pare un indicatore della fiducia nel futuro di una società. La sinistra è forte quando, per la maggioranza delle persone, la speranza di migliorare la propria condizione è superiore alla paura di perdere quello che ha. In fondo è semplice: se non si spera di poter migliorare la propria vita, l’unica è non peggiorarla. Se il progresso non è possibile, è meglio non muoversi. 

 

 Le vittorie della sinistra nascono dal desiderio di ottenere quello a cui si pensa di avere diritto, quelle di destra dal desiderio di conservarlo. Oggi, invece, si sciopera per non peggiorare la propria vita, non per migliorarla. Per questo, la battuta sulla sconfitta di Capalbio e il trionfo di Coccia di Morto con cui si spiegherebbe il risultato elettorale non dice la verità. O almeno non tutta. L’analisi dei segmenti socio-demografici dell’Osservatorio nazionale di Ixè, per esempio, certifica che, contrariamente al luogo comune, il 50,8 delle persone “agiate” e “serene” ha votato Fratelli d’Italia (contro il 44,6 che ha votato Pd), a riprova del fatto che tra destra e ricchezza c’è sempre un rapporto. I più poveri (gli “inadeguati”), non avendo nulla da perdere, quindi da conservare, hanno votato soprattutto Movimento 5 stelle, Lega e Forza Italia, nella speranza di raggranellare qualche reddito di cittadinanza, pensione o dentiera. 

 

 

È tutta la società che, per paura, si sposta verso la conservazione. La signora Loredana, pasticciera, non ha baciato il simbolo del Pd per nostalgia della sua gioventù, ma per nostalgia della speranza che aveva e non ha più. Per nostalgia di un tempo in cui tutti potevano credere di diventare più felici. La crisi della sinistra, in un certo senso, è la crisi dell’intera società. E nessuno dovrebbe gioirne. Dimostra che negli ultimi vent’anni ci siamo progressivamente spostati dalla speranza alla paura, dalla voglia di crescere all’impulso a trattenere.

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