Carlo Calenda (Ansa)

L'intervista

“Le proposte di FdI sul diritto Ue? Fesserie pericolose. Così il tavolo delle riforme non si apre”. Parla Calenda

Valerio Valentini

"La proposta di Lollobrigida sulla subordinazione delle norme europee al diritto nazionale vuol dire uscire dall’Europa. E dopo tanto parlare dell’avvicinamento di Meloni a Mario Draghi, mi chiedo: a quale livello di draghismo si colloca una simile sciocchezza?”, dice il leader del Terzo Polo, secondo cui il governo di centrodestra durerà "sei mesi, non di più"

Sulle prime liquida la questione a modo suo. “Neppure spenderci la fatica, per rispondergli”. Insomma Carlo Calenda si desta Carlo Calenda. Poi però un ripensamento lo coglie: nel senso che no, raccogliere l’invito alla discussione sulle riforme costituzionali lanciato da Francesco Lollobrigida su Repubblica “non ne vale la pena”, ma prendere sul serio le parole del pretoriano di Giorgia Meloni, quello sì, è il caso di farlo. “Perché dimostrano, in modo plastico, quanto profonde siano certe pulsioni antieuropeiste nella cultura di Fratelli d’Italia: pulsioni che non basta certo una svolta opportunistica, elettorale, a cancellare”. E insomma il leader di Azione non ha dubbi: “La proposta di Lollobrigida sulla subordinazione delle norme europee al diritto nazionale vuol dire uscire dall’Europa. Se non lo sa è inadeguato se lo sa è pericoloso. In generale tutta questa discussione su presidenzialismi, cambiamenti in chiave anti europea della Costituzione e altre amenità verrà spazzata via dall’emergenza economica”.

 

L’idea, in effetti, non è nuova. Nella legislatura ormai al tramonto era stata la Meloni in prima persona a presentare una proposta di riforma costituzionale in tal senso: stabilire la supremazia del diritto nazionale su quello comunitario. “E dopo tanto parlare dell’avvicinamento di Meloni a Mario Draghi, mi chiedo: a quale livello di draghismo si colloca una simile sciocchezza?”. Ora, però, la proposta prende una consistenza nuova. Perché FdI vuole farne oggetto di confronto nella Bicamerale che dovrebbe aprire il cantiere della revisione della Costituzione. “Sì, la sovranità del diritto Ue va rivista: discutiamone”, dice Lollobrigida. “Anche perché nessuno pensa più, alla luce degli ultimi eventi, che l’Europa sia perfetta”.E Calenda quasi sbuffa di nervosismo: “Sono chiacchiere da bar, e come tali andrebbero accantonate. Se non fosse che, però, sono chiacchiere molto pericolose”. 

 

Pericolose, addirittura? “Sì, perché creano un clima ostile tra il nuovo governo e Bruxelles”, prosegue Calenda. Il quale pure, va detto, viene spesso indicato, nelle chiacchiere anonime dalle parti di Via della Scrofa, come un possibile indiziato per presiedere quella commissione che dovrebbe varare le riforme costituzionali. Un’offerta che, nella logica di certi meloniani, dovrebbe garantire il sostegno dei parlamentari del Terzo polo su questo progetto. “Tutte fesserie”, risponde lui. “Di riforme si può parlare, va bene, perché è giusto che le regole fondamentali vengano discusse in modo trasversale, non certo a colpi di maggioranza. Ma purché la discussione sia seria. Ed esordire così, con una proposta folle come quella della subordinazione del diritto europeo a quello italiano, significa partire decisamente col piede sbagliato”.

Anche perché quello delle riforme costituzionali è un tempo necessariamente lungo, disteso. E invece quello che Calenda concede alla vita del nascituro governo di destra è corto assai. “Sei mesi, non di più”, pronostica. E lo fa, dice, sulla base degli indizi che già emergono. Indizi di antieuropeismo che rincrudisce, che riemerge come una scusa pronta per giustificare ogni difficoltà. “Immagino che il breve futuro di questo governo sarà tutto così: non riusciranno a spendere i fondi europei e daranno la colpa all’Ue; non riusciranno a gestire la questione energia e daranno la colpa all’Ue e via andare. Dopodiché gli italiani si romperanno le scatole e l’alleanza salterà”. 

E insomma il supposto draghismo esibito dalla Meloni come alibi per giustificare l’impossibilità di andare al governo con un’agenda sfascista, modello grilloleghismo del 2018, è destinato a sfumare. Forse, dice Calenda, “già sulla legge di Bilancio”. Cioè subito. Del resto la Nadef pare impietosa: spazio per manovre fantasiose, per concessioni alla propaganda, non ce n’è. “E mi aspetto che spieghino perché neanche una delle promesse da 180 miliardi lanciate in campagna elettorale verrà attuata. Poi, parleremo dei conti reali”.
 

Di più su questi argomenti:
  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.