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Serietà da sballo

La campagna elettorale dimostra che populismi e follie non vanno più di moda

Claudio Cerasa

Fascisti noi? Mai. Contro Israele noi? Ragazzate. Poche parole fuori posto, poche promesse pazze. Le prime elezioni in cui tutti badano a rassicurare (e a fingersi draghiani). Durerà?

Fascisti noi? Mai. Comunisti noi? Ma dai. Anti euro noi? Non ricordo. Anti europeisti noi? Si scherzava. Contro Israele? Solo ragazzate. Con Putin? Altri tempi. Con Orbán? Solo un vecchio amore. La fiamma nel simbolo? Ma che vuoi che sia. Il rapporto con il M5s? Solo un ricordo. Non sappiamo se con l’inesorabile arrivo di settembre, e con l’approssimarsi dunque della data delle elezioni, le cose cambieranno e i toni muteranno. Sappiamo però che le prime tre settimane di campagna elettorale, a differenza di quanto sostenuto in questi giorni dall’indignato collettivo in servizio permanente effettivo, sono state, almeno finora, semplicemente spettacolari. Poche parole fuori posto, poche promesse pazze, pochi colpi sotto la cintura e molti tentativi, a volte spericolati, di dimostrare a tutti, agli elettori, agli osservatori, ai mercati, alle cancellerie, di essere semplicemente normali e di essere plasticamente alternativi non al governo Draghi – che più passano i giorni e più viene descritto dai partiti complici della sua caduta come un governo crollato non per un loro sgambetto, ma per uno svenimento del diretto interessato – ma alternativi al vero governo che tutti vogliono oggi far dimenticare: quello gialloverde.

 

E così tutti i leader, compresi quelli che il governo gialloverde lo hanno fatto nascere, passano il tempo a smussare i propri angoli cercando pretesti per accusare gli altri di essere i veri estremisti. Per il Pd e per il M5s, gli estremisti sono i partiti di destra, ovviamente, che in Europa si accompagnano spesso e volentieri con partiti in effetti molto estremisti. Per il centrodestra, gli estremisti sono invece i partiti di centrosinistra, of course, che altro non sarebbero che discendenti naturali dei vecchi partiti comunisti e che altro non sarebbero che dei compagni di lotta di pugili come Ruberti. Per il centro, i partiti, tranne quelli di centro, sono tutti estremisti: alla sinistra si rimprovera di avere candidati impresentabili, addirittura antisemiti, mentre alla destra si rimprovera di essere ancora troppo ambigua sul suo rapporto con Putin. E così, la sinistra, che non ci sta a recitare la parte della sinistra estremista, caccia dalle sue liste i candidati critici con Israele, fa fuori il capo di gabinetto del sindaco di Roma, rivendica la sua distanza dai populisti del M5s, considera inevitabile la sua non alleanza con il Terzo polo per via della presenza eccessiva di populisti anche tra gli anti populisti. E a sua volta, il centrodestra considera molto estremisti i progressisti incapaci di emanciparsi dal M5s, considera molto estremisti i democratici incapaci di mostrare solidarietà nei confronti di Fratelli d’Italia, dopo l’attacco ricevuto da Meloni dalla Russia, e poi arriva a dire, il centrodestra, che l’indipendenza dalla Russia la vuole a tal punto da essere pronto a chiedere l’embargo sul gas russo, a condizione però che si apra una stagione di indipendenza energetica trainata da un’immersione nell’èra del nucleare. Stessa storia poi su altri temi, su altri dossier, su altri filoni.

 

C’è qualcuno che non vuole abbassare le tasse? Nessuno ovviamente. C’è qualcuno che non vuole alzare i salari? Nessuno ovviamente. C’è qualcuno che vuole uscire dall’Europa? Nessuno. C’è qualcuno che vuole spostare il baricentro dell’Italia verso la Cina? Nessuno. C’è qualcuno che tifa per l’Italexit? Nessuno, almeno tra i grandi. E sulla giustizia, poi, qualcuno ha visto battaglie contro gli impuniti, gli indagati, i famigerati impresentabili? Nessuno, perché tutti i partiti hanno avuto esperienze di governo e tutti i partiti hanno scoperto sulla propria pelle cosa significhi applicare alla lettera la cultura del sospetto quando si cerca di governare. E dunque, anche qui, una novità non male: ricordate una campagna elettorale non giustizialista? Probabilmente no. Poi sì, certo, sull’immigrazione le idee mutano, le prospettive cambiano, i leader esagerano, i partiti di destra non si tengono, le derive xenofobe e anti europeiste emergono, ma per la prima volta da molto tempo a questa parte l’impressione è quella di avere di fronte ai nostri occhi una campagna elettorale dove tutti i partiti, anche quelli meno responsabili, sembrano essere consapevoli di quanto il quadro in cui si trova il nostro paese costringa ogni leader a offrire un piccolo atto di fede: no, noi non saremo mai come il governo gialloverde.


No, noi non faremo finta di non sapere qual è il debito pubblico che ha l’Italia. No, noi non faremo finta di non sapere che l’Italia ha uno spread più alto rispetto a quello della Grecia. No, noi non faremo finta di non sapere che minacciare di non rispettare i vincoli europei significa incrinare la fiducia dell’Italia. No, noi non faremo finta di non sapere che il Pnrr è la spina dorsale su cui dovrà essere costruita l’Italia del futuro. No, noi non faremo finta di non sapere che il buon adempimento del Pnrr è la chiave necessaria per attivare lo scudo anti spread della Bce qualora dovesse servire. E dunque, pur con qualche eccezione, lo spartito della campagna elettorale finora è stato chiaro: rassicurare, tranquillizzare, non spaventare, non disorientare, non promettere follie e tentare di smussare i propri angoli populisti. Niente urla, niente isterie, niente colpi bassi, o almeno non troppi. E’ in questo senso una campagna elettorale nuova, dove gli elementi di populismo si notano e dunque stonano.

 

Stonano le idee populiste sul blocco navale. Stonano le idee populiste sulla Nato. Stonano le idee populiste sul vincolo di mandato. Stonano le candidature alla Tremonti. Stonano le candidature alla Borghi. Stonano le alleanze con i Fratoianni. Stonano i video degli stupri pubblicati da Meloni (e quelli sulle devianze). Stonano le idee populiste del passato, di tutti, e per questo, per tutti, è una corsa a cancellare ciò che si è stato, ciò che si è detto, ciò che si è fatto nel passato. Fascisti noi? Mai. Comunisti noi? Ma dai. Anti euro noi? Non ricordo. Anti europeisti noi? Si scherzava. Contro Israele? Solo ragazzate. Motivi? Un po’ per i vincoli europei, guai a toccarli. Un po’ perché i partiti hanno governato più o meno tutti insieme, e più di tanto non si possono insultare. Un po’ perché il nuovo algoritmo del consenso dice che il populismo fa paura, che l’estremismo spaventa e che non saper rassicurare significa non saper governare. Non sappiamo quanto tutto questo si terrà, ma intanto di fronte a noi c’è una campagna elettorale da sballo, e in attesa di scoprire cosa ci riserverà settembre non accorgersene più che un peccato sarebbe un delitto.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.