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Un dialogo

Le forme della transizione. Come sta cambiando la politica italiana

Sabino Cassese

L’anomalia della crisi di governo, il Parlamento che sarà più snello, l’instabilità dei consensi ai partiti, la liquidità dell’elettorato: siamo a un punto di svolta o a una semplice fase di passaggio? 

Che succede nel nostro sistema politico-costituzionale? Questa è una fase di transizione ed è importante capire quali siano i suoi tratti caratteristici, nella prospettiva della storia repubblicana, con un po’ di distacco, senza parlare dei protagonisti, cercando di non farsi prendere da ciò che accade sul palcoscenico e di capire quello che succede dietro le quinte.

 

Continuista. Comincio con il ricordare che per Benedetto Croce la storia è una continua transizione e che, quindi, non bisogna mettere troppa enfasi sulle fasi di passaggio. Anche Giuseppe de Rita, nel suo libro su Come cambia l’Italia. Discontinuità e continuismo (Edizioni E/O 2020) metteva in luce la somma di continuità e discontinuità del nostro paese. Insomma, se c’è transizione, bisogna spiegare quale tipo di transizione, e da quale regime si transita in quale altro regime.
Discontinuista. In questi mesi si sommano molti fattori di cambiamento e si può fare l’ipotesi che siamo a un punto di svolta della storia repubblicana. Un “turning point” non diverso dai tre che si sono succeduti nel secolo scorso: 1922-1924 (dalla marcia su Roma all’ultima elezione politica nazionale prima del fascismo); 1946-1948 (dalla scelta della Repubblica all’entrata in vigore della Costituzione); 1992-1994 (dalla crisi dei tre maggiori partiti del secondo dopoguerra all’inizio della nuova fase della storia repubblicana). I fattori che si combinano nel segno della discontinuità sono molti. Provo a elencarli. L’anomalia di una crisi di governo a breve distanza dalla fine della legislatura e con un governo che è entrato in crisi nonostante avesse ottenuto la fiducia del Parlamento. La riduzione di un terzo dei posti in Parlamento in un momento in cui non sono disponibili posti di sottogoverno, ciò che crea tensione tra i parlamentari. La frantumazione o lo sfarinamento di tante forze politiche. La liquidità dell’elettorato. La difficile prevedibilità dei risultati elettorali, considerato che il 40 per cento degli aventi diritto al voto o non intende andare a votare, o non sa per chi votare. Il rimescolamento previsto: Fratelli d’Italia che raddoppia i suoi parlamentari, il Movimento 5 stelle che fa un percorso opposto, Forza Italia che dimezza il suo elettorato, una nuova forza di centro che si presenta alle urne. Una campagna elettorale breve ed estiva, nella quale è prevedibile che prevalgano i sentimenti sui programmi. Una formula elettorale che premia matrimoni combinati. Il risultato previsto: per la prima volta nella storia repubblicana italiana potrebbe essere l’estrema destra a guidare il governo.

 

Continuista. Questa presentazione accentua troppo le diversità. Le crisi hanno fatto parte della storia repubblicana italiana: ne abbiamo avuta, in media, una ogni anno e mezzo, e questi fattori di crisi vanno visti uno per uno.
Discontinuista. Comincio dalle anomalie della crisi del governo Draghi. Le occasioni furono offerte dal termovalorizzatore di Roma e dall’introduzione di un modesto tasso di concorrenza per le concessioni balneari e per l’assegnazione delle licenze per i taxi. Erano pretesti. Ma il governo avrebbe potuto fare marcia indietro su questi tre progetti, per mettere in salvo programmi molto più importanti. Poi, lo stesso governo ha avuto un atteggiamento forse troppo orgoglioso perché, dopo aver ottenuto una fiducia, ha nuovamente posto la questione di fiducia sulla risoluzione Casini. Con la conclusione di avere due volte la fiducia e di ribadire le dimissioni. Tutto questo facendo appello al popolo (me lo hanno chiesto gli italiani) e con un duro richiamo al Parlamento, mettendo in contrapposizione investitura diretta e investitura indiretta, attraverso il Parlamento. Si potrebbe dire che il governo è stato più populista delle forze populiste che lo appoggiavano, e questo per una differenza minima: il governo Draghi durerà in carica ancora per altri tre, forse cinque mesi (il governo Gentiloni, dopo la crisi registrata del 29 dicembre 2017, continuò a operare fino alla fine di maggio; solo il 1° giugno ci fu il passaggio delle consegne tra Gentiloni e Conte). Una crisi, in sostanza, per una differenza soltanto di tre mesi.

 

Continuista. La crisi è stata molto più normale se se ne considera il vero motivo. Potevano tre forze politiche che si sarebbero presentate coalizzate alle votazioni, nel marzo del 2023, stare due al governo e una all’opposizione? Inoltre, di anomalie di questo tipo ne abbiamo viste tante, perché abbiamo visto crisi di tutti i colori. Infine, proprio il fatto che si tratti di pochi mesi di differenza non fa di questo fattore un elemento di forte discontinuità e peculiarità. Quanto al presidente del Consiglio dei ministri, aveva tutti i motivi per manifestare il suo orgoglio: si era prestato di buon grado a svolgere quel ruolo, esercitando tanto bene il compito di presidente del Consiglio.
Discontinuista. Un altro fattore di discontinuità è costituito dalla riduzione dei parlamentari (legge costituzionale 1 del 2020). È stato osservato che ha un effetto disproporzionale nelle regioni medie e piccole, perché costituisce uno sbarramento di fatto per le forze politiche minori, che sono anche svantaggiate dal fatto che i seggi da assegnare sono pochi. È stato notato che con un minore numero di parlamentari le defezioni possono facilmente mettere in crisi i governi. Ma non è stato ricordato che una riduzione così importante dei parlamentari crea tensioni nel sistema politico. I parlamentari del Regno d’Italia sono sempre aumentati dal 1861 fino al 1921, da 443 a 535. Fu solo nel 1929, con il plebiscito, che i membri della Camera dei deputati furono portati a 400. L’Italia repubblicana portò i membri della Camera dei deputati a 630. Questo paragone storico con quanto fu fatto nel 1929 è il segno di un’altra discontinuità importante.

 

Continuista. I paragoni storici vanno fatti tenendo conto della diversità dei contesti. Nel 1929 non c’erano, come ora, 884 consiglieri regionali, che svolgono una funzione simile a quella dei parlamentari nazionali, perché discutono e approvano leggi e dànno legittimazione ai governi regionali. Quanto all’allineamento disposto dalla legge costituzionale numero 1 del 2021 degli elettori del Senato a diciott’anni, questo tiene conto della più rapida maturazione politica dei giovani, anche se accentua l’anacronismo del bicameralismo: più le due Camere diventano simili, più appare evidente l’inutilità di averne due.
Discontinuista. Un altro fattore di cesura è costituito dalla fluidità dell’elettorato e anche da una certa irrazionalità del suo comportamento e delle scelte fatte dalle forze politiche. Il Movimento 5 stelle ha fatto cadere il governo e si è isolato, rinunciando a una parte del “bottino” dell’uninominale, e tutto questo per l’installazione di un termovalorizzatore a Roma. Lo stesso governo ha contribuito, per obiettivi minori, quali le licenze dei taxi e le concessioni balneari, alla mancata realizzazione dei suoi obiettivi maggiori. Ha ragione Carlo Calenda che ha sottolineato il “meccanismo perverso che ha degradato il voto a volubile stile di consumo” osservando che “le decisioni elettorali sono passate dalla sfera pubblica a quella personale. Non si vota un leader perché bravo, coerente, serio o competente e può fare il bene pubblico; lo si vota perché rispecchia il nostro stato d’animo in un dato momento” (C. Calenda, La libertà che non libera. Riscoprire il valore del limite, Milano, La nave di Teseo, 2022, p. 142 e p. 90).

 

Continuista. La fluidità delle posizioni elettorali è però un elemento che si è presentato fin dall’inizio della cosiddetta Seconda Repubblica, nel 1994, e che si riflette nel pendolarismo dei governi. La dodicesima legislatura (1994-1996) ha visto prevalere la destra con i governi Berlusconi e Dini; la tredicesima (1996-2001) la sinistra, con i governi Prodi, D’Alema e Amato; la quattordicesima legislatura (dal 2001 al 2006), di nuovo la destra, con Berlusconi; la quindicesima legislatura (dal 2006 al 2008) di nuovo la sinistra, con Prodi; la sedicesima legislatura (dal 2008 al 2012) prima Berlusconi e poi Monti; la diciassettesima legislatura (dal 2013 al 2018), di nuovo la sinistra con i governi Letta, Renzi e Gentiloni. “Motus in fine velocior”, la diciottesima legislatura (2018-2022), ci ha dato tre governi completamente diversi, Conte primo, Conte secondo e Draghi.
Discontinuista. Un ulteriore elemento di discontinuità è costituito dalla formula elettorale. Parliamo della legge Rosato, numero 165 del 2017 votata da Pd, Forza Italia e Lega, applicata una volta, nel 2018, con i risultati che conosciamo. Attribuisce il 37 per cento dei seggi all’uninominale/maggioritario, il 61 per cento al proporzionale e il restante 2 per cento ai votanti all’estero, con metodo proporzionale. Non consente il voto disgiunto e le desistenze. Prevede sbarramenti di lista al 3 per cento e di coalizione al 10 per cento, con utilizzazione diversa dei voti. Consente le pluricandidature. Se la formula elettorale viene considerata, come necessario, congiuntamente con la struttura dell’elettorato, in questo caso con la sua frammentazione, si capisce che la chiave è nei collegi uninominali a causa della frammentazione delle forze politiche. Quindi l’unità è lo strumento per vincere. L’applicazione concreta della legge Rosato ci ha dato un Parlamento con tre maggioranze diverse, tre governi di età media simile a quella della storia repubblicana, e tre indirizzi di governo diversi

 

Continuista. La formula elettorale è ballerina dal 1994, perché abbiamo avuto la legge Mattarella del 1994, quella Calderoli del 2005 e quella Renzi del 2015, prima della legge Rosato. Si diceva una volta “ex nihilo genesis deorum” (solo gli dèi nascono dal nulla). Che vuole dall’Italia dagli 8 mila campanili e dai 985 contratti nazionali di lavoro?
Discontinuista. Un ulteriore fattore di discontinuità è costituito dalla campagna elettorale. Essa si svolge tra poli e coalizioni, ma c’è una concorrenza tra le coalizioni e anche nelle coalizioni. E questo può significare che le coalizioni saranno utili per vincere le lezioni, ma non per governare. Così come si sta svolgendo, la campagna sembra piuttosto una tenzone tra uomini piuttosto che tra programmi, fondata su sentimenti piuttosto che su progetti, tant’è vero che all’inizio Giorgio La Malfa e Romano Prodi avevano affacciato l’idea di trovare a sinistra un collante nella politica estera. Manca finora il dialogo, il tentativo di persuadere, il costume argomentativo, mentre prevalgono le affermazioni. Consiglierei ai partecipanti alla competizione la lettura di un piccolo libro di uno storico dell’arte, Michele Dantini, intitolato Sulla delicatezza e pubblicato dal Mulino nel 2021. Lì si spiega che cosa sono i tempi lenti, i costumi argomentativi, quello che Pascal chiamava il persuadere con dolcezza, assumendo la responsabilità dell’argomentazione.

 

Continuista. Nulla di nuovo. Ricordo l’osservazione di Elias Canetti, in Massa e potere (1960), Milano, Adelphi, 1981, p. 224-225 dove esamina “L’essenza del sistema parlamentare”: “Il sistema bipartitico del Parlamento moderno si avvale della struttura psicologica di eserciti in battaglia… Essi combattono rinunciando a uccidere…. In una votazione parlamentare non c’è altro da fare che verificare sul posto la forza di ambedue i gruppi… Il conteggio dei voti segna la fine della battaglia… Nessuno ha mai creduto davvero che l’opinione del numero maggiore in una votazione sia, per il predominio di quello, anche la più saggia… L’avversario, battuto nella votazione, non si rassegna affatto… Egli conta piuttosto sulle future battaglie”. Comunque, secondo i calcoli dell’Istituto Cattaneo, almeno i risultati saranno chiari, un centrodestra con più del 60 per cento dei seggi, un centrosinistra con poco più del 25 per cento dei seggi, un centro per ora stimato con un 4 per cento dei seggi.
Discontinuista. Così il centro non potrà fare da bilancia, mentre rimarrà l’eterogeneità delle forze politiche, anche quelle che vinceranno. Per fare un paragone storico, ricordo che la legge denominata “truffa”, che fu all’origine della crisi dei governi De Gasperi (legge 148 del 1953), prevedeva l’assegnazione del 65 per cento dei seggi a chi avesse superato il 50 per cento dei voti validi. Con la legge Rosato, il 46 per cento dei voti potrebbe dare al vincitore più del 60 per cento dei seggi. Dunque, gli italiani che non amarono la “legge truffa”, che premiava chi avesse ottenuto la maggioranza dei voti, assegnando a essa una netta maggioranza di seggi, vedranno ora le conseguenze della legge che dà un premio in termini di seggi a chi non abbia neppure raggiunto la maggioranza dei voti. Infine, un ultimo fattore di discontinuità: per la prima volta un partito nettamente di destra avrebbe la guida del governo. Fratelli d’Italia fu fondato per scissione da destra del centrodestra.

 

Continuista. Il timore mio e di tanti altri è che si costituisca una maggioranza in grado di modificare la Costituzione. Bastano le “dighe” disposte dall’articolo 138 della Costituzione, cioè la doppia votazione delle due Camere, la maggioranza assoluta, la possibilità di chiedere il referendum se la modifica non è approvata con la maggioranza dei due terzi?
Discontinuista. Quando sento questi timori diffusi, penso a quella falsa citazione biblica per cui l’ignoranza ci rende tutti fratelli. La distinzione tra essere informati e capire è sempre maggiore. Si aggiunge ora, a seguito di una sfortunata improvvisazione del leader di Forza Italia (forse dimentico che “c’est le ton qui fait la chanson”), l’idea che il presidente della Repubblica in carica si debba dimettere nel caso di modificazione costituzionale che introduca il presidenzialismo.

 

Continuista. Per ottenere un buon prato, si diceva a Cambridge, c’è un sistema molto semplice: annaffiarlo tutti i giorni, tagliarlo una volta la settimana, per più di 300 anni. È per questo che gli inglesi hanno fondato la loro costituzione su convenzioni e consuetudini costituzionali. Ora, i molti glossatori e commentatori dimenticano i contesti e – come notava il grande storico della scienza e della filosofia Paolo Rossi – dove i contesti non compaiono, non c’è storia. Voglio dire che bisogna considerare i precedenti, che formano una consuetudine. Basterebbe conoscere la storia delle modifiche costituzionali italiane. Nei casi in cui si è diminuita la durata nella carica o si sono diminuiti i componenti di un organo costituzionale, le leggi costituzionali relative hanno rinviato l’applicazione concreta al termine del mandato del titolare della carica. Mi riferisco alla legge del 1963 sulla durata dei senatori, portata da sei a cinque anni e a quella del 2020 sul taglio dei parlamentari, portati da 945 a 600. La prima disponeva: la presente legge entra in vigore con la prima convocazione dei comizi elettorali successiva alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. La seconda: le norme si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successive alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale.