Palazzo Chigi

Draghi sorride agli appelli ma i partiti restano "inaffidabili". "Vogliono il voto"

Carmelo Caruso

Il premier potrebbe ripensarci se il moto popolare finisse per trasformarsi in moto parlamentare. La vera incognita è Salvini e i partiti che ormai cercano il voto

Adesso sì che combatte. Gli appelli, le pagine dei quotidiani acquistate dalle associazioni di categoria, le parole dei sindaci hanno sorpreso Mario Draghi. Lo hanno sorpreso piacevolmente. E’ quell’Italia che “ha a cuore l’Italia”, quella che produce e che non è insensibile alla crisi di queste ore e che se potesse manderebbe al diavolo i partiti. Ma poi, quando Draghi pensa ai partiti, dicono che le sue dimissioni si rafforzino perché siamo di fronte a leader “inaffidabili” che "vogliono il voto". E’ questo l’aggettivo di queste ore: “Inaffidabili”. Si oscilla. Da una parte si osserva allo sfilacciamento del M5s, che somiglia alle scuole occupate, a un cartello di indiani metropolitani, dall’altra si prende atto che il centrodestra adesso crede nel blitz, nel voto subito.

 

A Palazzo Chigi non si nega che Giuseppe Conte, mercoledì, probabilmente rappresenterà qualcosa che non si chiamerà più M5s. I margini per continuare con il “M5s reloaded” ci sarebbero. La partita si gioca sull’identità del M5s. Quando Salvini dice mai più con il “M5s” lascia ancora spazi di ambiguità. Insomma, M5s chi? Ogni qual volta Salvini ripete che la “Lega farà il bene dell’Italia” anche dalle parti di FdI dichiarano: “Giusto, il bene dell’Italia è il voto. Perché non lo dice chiaro?”. In verità, che il voto sia il bene dell’Italia non sembra coincidere con i documenti che sarebbero arrivati al Quirinale. Vengono inoltrati paper con dati allarmanti. Si racconta che al Colle sia pervenuto un fascicolo dove sono documentate cifre, stime (negative) nel caso in cui l’Italia dovesse andare al voto anticipato. Lo stesso Draghi ha sempre sostenuto che “le elezioni sono qualcosa di nobile” ma servirebbero credibilità internazionale, leader apprezzati, uomini di spessore per andarci. All’estero si interrogano e rispondono: “All’Italia serve tempo per preparare il dopo Draghi”. Il Financial Times ormai non nasconde quale sia la sua opinione.

 

Parla di un pericoloso collegamento tra guerra in Ucraina e instabilità. Quella che per molti sembra una sciagurata casualità, per gli osservatori internazionali non lo è. L’Inghilterra è senza guida. In Francia, Macron non ha la maggioranza. In Italia la crisi provocata da chi, come Conte, in politica estera, non ha mai brillato in amicizie, legittima cattivissimi pensieri. Ecco perché, e a ragione, l’Ft pensa che un paese che non ha validi sostituti a Draghi sia la spia di un’incapacità di sistema ormai incurabile: “Sapendo che la premiership di Draghi ha una data di scadenza, il paese non è riuscito a convincere i mercati che può trovare una strada plausibile per continuare le riforme di cui l'Italia ha un disperato bisogno”. “Inaffidabili” è la triste verità tanto che, ed è sempre il giornale anglosassone, “l’Italia, e non solo, ma anche la Ue e Bce devono pianificare in modo credibile un futuro post-Draghi”. Il premier che oggi partirà per l’Algeria ne continua a fare una questione di governabilità. Gli appelli dovrebbero “trasformarsi in una convinta richiesta parlamentare”. Non sembra che questa trasformazione ci possa essere. Draghi, i suoi uomini, riflettono molto su quanto sta accadendo. Estraendosi si chiedono: “Quanti italiani andranno a votare? Chi rappresenta più chi?”. Come durante le elezioni del Quirinale si torna a Salvini. Negli scorsi giorni si è detto che ci sarebbe stato un momento fatale. Tre giorni fa il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari, al Corriere aveva dichiarato: “Si voti, stop”. Poche ore dopo, Berlusconi e Salvini aprivano a qualcosa che ora stanno chiudendo (sembra). Cosa è successo? Dicono nella Lega, e temono, che Salvini possa avvitarsi nuovamente come durante il Quirinale.

 

In realtà il suo metodo è sempre quello di “tenersi tutte le strade aperte. Quando capirà quale sarà più conveniente percorrere, la percorrerà”. Il pericolo è che sia tardi anche allora. E’ sicuramente tentato dal voto perché crede ancora di avere il tocco magico. Ma ha anche la necessità di accodarsi a Forza Italia che spinge per un governo senza M5s, ma, come spiegato, del M5s stanno per restare solo le braci. Draghi guarda ormai alle mosse di Salvini e non più a quelle di Conte. Se si dovesse ripartire “non può con uno che promette sfracelli”. Servirebbe un solo punto che Salvini dovrebbe sottoscrivere: “Farci lavorare”. Sarà affidabile? Ma soprattutto vuole esserlo?

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio